16 novembre, 2011

Ridiamoci sopra!

Diciotto anni di servizio quasi inappuntabile e mai una licenza di più di un mese scarso. Come giusto, quando si dorme non si smette di combattere. L’esempio di stanotte è probante.

Raccontare i propri sogni è tanto gratificante per chi ne è stato protagonista, quanto noioso per chi ascolta; ma ho il bisogno di scriverne, nessuno me ne abbia, e non leggerne è una buona soluzione. Al termine di questo noioso riportare di fatti mai avvenuti, il lettore più furbo può trovare le mie acute conclusioni: potete farvi una risata a denti stretti laggiù, senza sorbirvi tutta la trafila.

Questa notte il sogno ha preso la forma di uno strano fronte orientale, in chiave di conflitto asimmetrico, moderno. Ero bardato come un soldato americano, analogo a quelli dei film e degli spezzoni ai telegiornali, piccole macchiette umane coperte di tecnologia e di equipaggiamenti da ventimila € tra fucili senzienti visori notturni guanti occhiali a specchio da fotomodello pistola camelbak maschera radio elmetto in kevlar ginocchiere gomitiere e una mimetica che fa tendenza, ridotto o eletto ad icona marciante e un po’ pacchiana di una religione prepotente, quella della macchina iperbellica totale. Fichissimo, insomma, come questo.

Ad ogni buon conto, mi aggiravo, alla maniera onirica, per una base avanzata, opulenta in fatto di materiale di ogni tipo, e vuota di persone con le quali interagire.
La prima tappa è stata in fureria, a prendere qualche ulteriore orpello, ed incomprensibili informazioni su quello che avrei dovuto effettivamente fare e dove andare. Quattro parole con il soldato (una donna) preposta all’uopo, e qualche altezzosa battuta soldatesca, mutuata dai film retorici e poco credibili che mi sorbisco da sveglio. Infine, la mia solita prosopopea, a dileggiare il rischio di morire, per dimostrare che io ero inevitabilmente differente, in una qualche migliore maniera, della carne da cannone ammassata laggiù.

Sì, talora i miei sogni raggiungono precisione da alta definizione televisiva, nelle immagini e nei dialoghi, salvo poi ritornare al rigore onirico, composto di salti temporali e spaziali, e soprattutto semantici. In effetti, me ne ero andato già due o tre volte da quella strana fureria, più simile ad un banco informazioni bancario, ogni volta provando un dialogo diverso, il cui senso era sempre lo stesso: io qui se ci crepo sono contento, non come voi altri idioti che non vedete l’ora di tornare ‘dalle vostre Mary Jane’, parafrasando un celebre dialogo cinematografico. Perché non ho nulla cui tornare, dicevo, e quindi tutto sommato io, che non ho nulla, sto meglio di voi altri che qualcosa, dopo tutto, avete, in un altro posto, se non altro, noiosi cretini.

Ma di rado sono pietoso con me stesso, in sogno mai, e all’ennesima compiaciuta reiterazione del mio prode discorso, notavo che una ragazza faceva il proprio ingresso sulla scena.
L’aria stanca, di chi ha fatto fatica e sa che è probabile ne dovrà fare ancora, passava di là per disbrigare una qualche faccenda. Indossava un casco tecnico da pilota, e solo allora mi sono reso conto che per quanto mi riguardava ero un soldato semplice, l’ultimo della fila e della lista, un nome su una tomba già scavata a fianco a mille altre identiche, alla faccia dei miei tronfi sproloqui. Anche se in sogno, l’ossessione bellica mi insegnava che doveva trattarsi di un pilota, dato il casco, e di un ufficiale, dato che i piloti di caccia in genere lo sono.

Come fossi davanti ad una sorta di divinità, nel mondo in cui mi trovavo: eravamo gerarchicamente e operativamente distanti quanto il conto in banca e le abitudini dell’homo sapiens sapiens italiano e quelle di un calciatore o di una rock star, notoriamente di una specie diversa.

Ho riconosciuto immediatamente la ragazza: la conobbi, nel mondo non-onirico, a sedici anni, al mare. S’intessé una complessa ragnatela sentimentale dalla quale credo nessuno è uscito assolutamente indenne, o almeno io.

Bloccato, non avevo il coraggio né di salutarla né di avvicinarmi. Mi sono limitato a fissarla, sperando mi vedesse, e così è stato. Risolto il problema del Primo Contatto, sbrigati i salamelecchi obbligatori, le chiesi se pilotasse (banali) elicotteri. Mi rispose che, no, pilotava F-16 (un esempio). Come dire, traslando un significato per me ovvio, che oltre ad essere ben al di sotto anche solo al diritto di parlarle, in quanto pilota ed ufficiale, pilotava un caccia multiruolo che amo per le forme aggraziate, le curve della fusoliera priva di spigoli vivi e, per chi ama questo genere di prodotti tecnologici, anche per la particolare sensualità.

Molto a disagio scambiai qualche parola di prammatica, rendendomi conto che non c’era molto da dire, che con quella persona quel che v’era da scambiare era stato scambiato illo tempore: adesso, semplicemente, io sarei andato a strisciare nel fango, fino all’anelato decesso, e lei a chiudere eleganti immelmann nel cielo perfetto sopra le nuvole: e se l’era meritato con le azioni, quanto io mi ero meritato il fango a parole. Una brutta sensazione.

Congedatomi dal pilota, non senza acuti rimpianti e una familiare sensazione di fallimento totale, e preso atto della faccenda nel suo complesso e della mia effettiva condizione, mi risolsi di espletare i miei compiti di fanteria quanto meno al meglio delle mie possibilità.

Inanellai una serie di clamorosi insuccessi. Al banco riparazioni pistole, ricevetti un cicchetto indimenticabile quando dimostrai di avere un colpo, per di più danneggiato, incamerato nella mia Beretta d’ordinanza davanti al sottufficiale. Me ne andai di lì con la pistola smontata che non sapevo come rimettere insieme, la coda fra le gambe.

In seconda istanza, mi trovai impegnato nel piantare dell’esplosivo in filari simili a quelli di un vitigno, attività oniricamente pregna quanto priva di alcuna utilità nel mondo reale. Per strani meccanismi, il filare di mia competenza era già occupato da un soldato che ne sapeva più di me, altri liberi non ve n’erano, e l’ufficiale che controllava il nostro lavoro pareva infischiarsene del sottoscritto, che con l’esplosivo in mano si aggirava all'intorno a guisa d'idiota.

Mi fu poi affidato l’incarico di scavare una sorta di fossa enorme. Anche qui combinai non so quale disastro. Fummo in seguito attaccati, noi privi di fucili, da avversa fazione. Un commilitone sembrava non avere alcuna paura, e giocherellava, facendo cose possibili solo in sogno, fino a che fu falciato da una raffica. Scoprii che, a dispetto delle mie precedenti dichiarazioni in fureria, non lo invidiavo affatto, e mi rannicchiai più vicino al muretto che mi faceva da riparo.

Pensavo intanto al cielo sopra le nubi, e all’aria stanca della mia amica, che sapeva quanto fosse stato difficile mettere le mani sulla cloche di un F-16, e che sapeva che sarebbe stato difficile e faticoso anche pilotarlo in battaglia, ma faceva quel che andava fatto, al suo meglio, e  con discreto successo, per di più.

Per ora, a me non era ancora riuscito nemmeno di piantare un'inutile filare di esplosivo.

Io, o Il mio sogno, decidemmo infine di infilarci una componente piccante, connotata anche da una balsamica ventata di speranza: conobbi una ragazza, come me in fanteria, e si aprì una casta parentesi platonica, presto chiusa dai doveri verso la Patria. La salutai dicendole, scegliendo una battuta tra le care sceneggiature americane di film pseudo-romantico-sentimentali: ci si vede quando ci si vede. Mi sentivo l’Humphrey Bogart della situazione. Ella mi risposa, prosaicamente, che in guerra non ci si rivede mai. Mi sentivo lo scemo della situazione.

Al che ho deciso di svegliarmi perché francamente ne avevo abbastanza di prendere legnate da vecchie e nuove amiche. Sono stato assalito da uno sconforto acutissimo, da un senso di rimpianto esacerbato all’estremo, da una sensazione di occasioni perdute, di errori grossolani, di autoinganni eccellenti.

Ho così, poco marzialmente, pianto alle 8 e mezza di mattina, in genere mi accade di notte. Una giornata iniziata con il segno giusto, insomma.

Sono tra coloro che ritengono i sogni quasi sempre pregni di significati nemmeno troppo occulti. Qui poi tutto mi è apparso chiaro come il sole, appena asciugate le lacrime e bevuto del caffèlatte.

Blaterare da fante prode sciocchezze in faccia alla morte e quant’altro, venendo poi smentito: un meccanismo che effettivamente metto in atto, girando le doglie della mia certo non facile esistenza (questo è purtroppo un fatto) in punti di forza, anziché considerarli punti di deboli da accudire, per lenire il dolore che provocano.

Incontrare la mia amica con il grado, e per di più il sinuoso aereo dei miei sogni: dimostrazione fattuale che a fronte di chi ciarla come me, c’e’ chi agisce e mi mangia in testa, ottenendo concretamente dei risultati seppure con fatica e senza illusioni, mentre io rimango sempre fermo a contemplare i miei insuccessi, e riempio i vuoti con una fiumana di parole.

Fallimento delle mie iniziative da fante perfetto: chiaro riflesso del risultato di buona parte delle mie iniziative reali.

Essere ignorato dagli ufficiali anche se faccio sciocchezze da corte marziale: sono riuscito a dare a bere ad un sacco di gente un sacco di fregnacce, per cui sembro au peir con tutti, o quasi, mentre affogo nella mota.

La ragazza che incontro alla fine delle peregrinazioni soldatesche, mezza tresca platonica (sono sempre un dannatissimo gentiluomo vecchia maniera, persino in sogno): dopotutto c’è una speranza, che “capita” da sé, condita con qualche piccante risvolto, ma non ci credo mica troppo, “ci si vede quando ci si vede” in un luogo in cui non ci si rivede mai.

Pianto al risveglio: direi opportuno, quando ci si sbatte in faccia da soli i propri limiti, per di più quando si sta dormendo.

Morale: come sempre, essendo comunque un soldato nella mia Guerra Eterna, prendo atto degli insegnamenti del mio inconscio, inteso in senso ampio, e tiro avanti, ho pur sempre altre dodici ore prima di addormentarmi e ricevere un’altra lezione.

Ciò cui riesco a non pensare da sveglio, mi torna indietro con gli interessi quando faccio visita a Morfeo.

Il fatto è che non vedo l’ora di avere un altro incubo rivelatore, o un altro sogno carico di sottintesi: un modo per trarre le conclusioni di ragionamenti che non mi accorgo nemmeno di fare.

15 ottobre, 2011

Aforismi/4

In un piccolo consessso, chi parla liberamente attira l’attenzione dei presenti; chi ascolta in silenzio, attira le emozioni degli animi più fini.

L’emancipazione sessuale femminile ha portato alla selezione innaturale degli uomini peggiori, piu’ impulsivi, meno riflessivi, furbi, e nel complesso rozzi: coloro i quali sono dotati di virtu’ decenti, per timidezza o semplice galanteria, hanno un successo riproduttivo minore. Naturalmente, le femmine si lamentavano dell’andazzo prima dell’emancipazione, e si lamentano altrettanto, se non di piu’, ora.

Il sognatore categorico rinuncia a tutto quello che lo sostiene per  vivere nel concreto: qualora fallisca nel nobile tentativo, ne rimane poco piu’ di un guscio vuoto e inutile, ed in genere anche affamato.

Ricchezza, idiozia, intelligenza e povertà sono quattro grandezze collegate da leggi contro intuitive che in pochi accettano:  agli altri manca il coraggio d’ammettere di essere stati elegantemente raggirati, o, nel caso alternativo,  di essere degli idioti di successo.

Quasi tutti gli uomini apprezzano la bellezza naturale di certi luoghi. In realtà, la quasi completa maggioranza e’ in grado di cogliere esclusivamente il luogo comune di quella bellezza, senza percepirne cioe’ altro che il consenso sociale che la circonda. Una sorta di bellezza che diviene convenzione.

Contemplare la bellezza e’ inevitabilmente doloroso. Chi non conosce la melanconia, non conosce la bellezza autentica, ma e’ in grado solo di quantificarla: operazione pressoché inutile, ma molto di moda.

Nell’adolescente e’ massima la fame di bellezza: essa scema via via, morsicata dagli imperativi pratici.

I fanciulli sono un’altra specie: ne’ uomini ne’ femmine, suscitano molte delle piu’ dolci emozioni che si possono apprezzare, perche’ non sono afflitti dalla quasi interezza degli istinti degli adulti; soprattutto dalle convenzioni sociali sulla sessualità.

L’impressione e’ che quasi nessuno, mortificato o satollo, soddisfatto o angustiato, felice o infelice che sia, sia nei nostri giorni in grado di definire esattamente perche’ continui giorno per giorno a fare cio’ che crede di aver scelto di fare, e che piu’ spesso gli e’ stato attualmente imposto.

20 maggio, 2011

Aforismi/3

Se qualcuno è al corrente che siete persone sole, molto probabilmente non e' affatto vero.


Amare una donna per molti uomini è un esercizio ginnico. Tutti gli altri maschi, pagano il prezzo della ginnastica eccessiva cui le femmine sono sottoposte.


Il dolore è una faccenda molto delicata. Delicato e' gestirla, delicato parlarne, delicata è tutta, da trattare, per non snaturarla: nulla di più glorioso di un dolore nobile, nulla di più oltraggioso di un dolore denaturato.


Avere di tempo di pensare al tempo distingue un saggio da uno stolto. E una persona sana da un nevrotico o psicotico.


Si può pagare per ciò che si può ottenere anche senza smerciare un soldo. In genere, il contrario è assolutamente falso. E' interessante quindi derivarne che ciò che è senza prezzo si possa in effetti ottenere con mezzi diversi dal denaro. Di fatto arricchendosi, rivendendo ad un prezzo arbitrario quanto si è ottenuto.


L'attesa è un'arte. Quando smette di esserlo, e' troppo tardi.


Attendere il momento buono è un modo scaltro per non ammettere che non sappiamo esattamente che fare.


Indulgere nella vendetta è un gesto quasi sempre controproducente. Se si resiste alla tentazione, si può solipsisticamente godersela comunque, e alla grande.


Amate chi vi ama e non odiate chi vi odia. Se invece volete capirne di più sulla natura umana, fate il contrario.

25 marzo, 2011

Yannick!

Il 17 febbraio passato non ho passato la migliore delle serate. Ho scritto queste parole, nate come mail ad un amico, senza sapere cosa avrei scritto. Mi sono piaciute al punto che ho deciso di metterle anche qui.

Nell'amore e nella memoria del mio amico Yannick, che spero ardentemente di rivedere, quando sara' il momento.

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Ciao Andrea...

Ho voglia di scrivere un po'.
Una volta, era il 2002 credo. Ero al lavoro, e mi ha chiamato un collega della ditta che avevo appena lasciato. Si chiamava Yannick Eysselink.

Aveva avuto una vita tremenda. Da piccolo, penso avesse sugli otto anni, con sua madre in macchina, ebbe un incidente. Sua madre mori' e lui rimase sfigurato. Gli rimisero insieme la faccia prendendo pezzi di cartilagine da gomito, ginocchio... orecchie... un macello. In effetti, aveva un viso improbabile, ma con le donne non aveva problemi, e son cose che non capiro' mai, avvolto come sono dall'epoca delle apparenze. Del resto, era un genio: scrittore, drammaturgo, aveva una padronanza della lingua (aveva la doppia cittadinanza belga e italiana) che non ho mai piu' trovato in nessuno: poteva giocare con le parole come fa Rodrigo con le palle da biliardo. Aveva un cuore immenso, una persona splendida. Era poeta, era scultore. Era un buon grafico ed un bravo programmatore. Una di quelle persone che se non si conoscono... le descrizioni rimangono poco piu' che lettera morta.

Come pochi, aveva anche la passione per quel genere di poesia che io reputo la piu' sincera e piu' difficile: quella che sta nelle cose che abbiamo intorno. Una volta mi disse, forse era il 2001, dopo un temporale primaverile, i raggi del sole che tagliavano l'aria tinta di vaniglia, fermandosi mentre passavamo per piazza Duomo, io alla ricerca di una birra, lui non ricordo: "Matteo, guarda che splendore questo cielo, guardalo, perche' a Milano non si vede mai un cielo cosi', e' un capolavoro, fermati con me e guardiamolo". Ancora adesso ce l'ho davanti agli occhi quel cielo, come una fotografia, un capolavoro di luce e bellezza sulla citta' scintillante della pioggia fresca. Un'altra volta, usciti dal lavoro (era sbronzo) c'era questa ragazza, una cosi', come mille milioni di altre ragazze, che stava sotto il portico ad aspettare. Non era ne' particolarmente bella ne' altro, aveva pero' un'aria affranta e triste. Ma Yannick ci vide qualcosa, e dopo un primo sguardo, si fermo' di botto, le appoggio' delicatamente un braccio al gomito e disse solo, e letteralmente, me lo ricordo: "Non temere: lui arrivera'". Si giro' e riparti' a spron battuto con me, attonito, a tallonarlo. Forse la ragazza stava davvero molcendosi il cuore perche' il suo innamorato stava tardando, o forse era rimasta banalmente divertita: io, dal sorriso improvvisamente sollevato che fece, grata, lo ricordo bene, penso fosse vera la prima ipotesi.

Era cosi', un genio, un santo e un'anima maledetta, anche. Lo conobbi nel 1999 tardo, quando iniziammo a lavorare insieme, e lui stava ricominciando a bere forte. Era etilista, aveva smesso, e proprio in quel periodo ricomincio' a bere. Tempo il 2002 della telefonata con cui ho iniziato questo racconto, era ricaduto nel bere completamente.

Viveva ad Ispra, sul lago Maggiore, con due cani che amava molto, in un enorme casa tra freschi pini ed aceri, ombrosi, che pero' non vidi mai permeata della strana vitalita' di Yannick: quando passai di la' aveva gia' l'aria di un posto lasciato al bosco da un secolo. Andava pazzo anche per suo nipote, un bambinetto, il figlio di sua sorella, la quale era una persona estremamente sgradevole che lo disprezzava, o comunque non l'amava.

Come altre persone cui la vita non ha riservato esattamente un trattamento di favore, se non nei doni innati, sembrava sempre allegro, sobrio o meno che fosse: non si lasciava mai sfuggire la possibilita' di infilare una battuta che lasciava di solito il piacere, nell'ascoltatore, di rigirarla linguisticamente e semanticamente tra le mani della mente per un paio di minuti almeno, per coglierne tutte le sfaccettature: era in grado di trasformare le parole come un caleidoscopio la luce.

Mi telefono' credo fosse mattino, e mi disse che voleva ammazzarsi. Io all'epoca ero da "soli" 8 anni circa in analisi e farmaci, e devo dire che le cose non mi buttavano poi cosi' male, o almeno lo posso dire ora. Non fu l'ultima volta che mi chiamo' con quelle idee, e io cercai di calmarlo, in primis, e poi di prospettargli qualche via d'uscita. Sai, all'epoca ero convinto che una psicoterapia ben fatta poteva salvare chiunque. Alla fine di quelle telefonate mi ringraziava e mi diceva che non c'era niente da fare, ma grazie lo stesso... alla fine probabilmente un po' si calmava, ed essendo uno che di difficolta' ne aveva affrontate a bastimenti, bastava forse fargli superare quei sette minuti di dolore puro che, anche senza le mie vaticinanti prognosi positive, sarebbe tornato comunque, se possiamo dire cosi', in se', anche se in se' e' sempre rimasto, per quel che ne posso dire io. Durante la sua vita Yan ne aveva viste di ogni. Trascorse anche tre anni come clochard in giro per l'Europa.

Una mattina, non molto tempo dopo, mi arrivo' una telefonata da un ex collega di entrambi, che mi diceva che Yan era morto d'infarto, non si sapeva bene quando. Il giorno dopo presi la motocicletta e cercai di capire che cosa fosse successo, visto che nessuno sembrava sapere niente. Cosi', era estate, partii per Ispra, e spesi una giornata fra interviste a passanti e ai carabinieri... fu in quell'occasione che vidi la sua casa... fino ad arrivare sul tardo pomeriggio della sorella, che abitava grossomodo in zona. Una persona che posso ricordare solo con tristezza, e un po' di disgusto.

Tirate le somme, ne sapeva meno di me e gliene interessava molto meno. Quello che potei sapere tra forze di polizia e indagini meno ortodosse, e' che mori' di infarto, da solo, davanti al frigorifero in cucina, mentre riassettava perche' doveva andare trovarlo una sua vecchia fiamma. Il funerale fu celebrato quasi un anno dopo, non ho mai capito esattamente perche'. Era una famiglia strana, o almeno era quello che di una famiglia, ricca e blasonata, restava.

Di episodi intercorrenti, durante la crescita esponenziale del suo bere, quando lavoravamo insieme, potrei raccontarne innumerevoli, ma una faccenda piu' di tutte mi e' sempre rimasta impressa in tutti questi anni. Fu durante quelle telefonate, durante le quali cercavo di consolarlo e deviare le sue intenzioni suicide. Piu' di una volta, quando gli ventilavo concretamente eventuali vie per uscire dall'alcolismo, o almeno cercare di star meglio, molto spesso iniziava a canzonarmi, blandamente e senza acrimonia, a modo suo, tra il serio e il faceto, districare l'uno dall'altro era impossibile. Mi sembrava che mi trattasse come se fossi un innocente giovinetto che cerca di spiegare ad un consumato assassino e mercenario come fare ad ammazzar mosche. Dal canto mio, pensavo che la sua penosa e dolorosa situazione gli impedisse di vedere le vie di uscita che pure di certo c'erano, magari non quelle che gli proponevo, ma pure fossero state altre, ci dovevano senz'altro essere. All'epoca, in effetti, mi sentivo la prova vivente della mia tesi.

Ad oggi sono passati quasi o piu' di dieci anni, e capisco molto meglio Yannick. Adesso anche io riderei bonariamente in faccia a qualcuno che mi facesse quel genere di discorso. Yannick, penso ora, non sorrideva di me perche' pensava io dicessi cose non vere, ma perche' non capivo quello che mi pare vero ora: cioe' che il gioco a volte non vale la candela.

Non so se Yannick avesse ragione o meno, tra l'altro mori' di morte naturale. Di certo c'e' che quello che fino ad oggi mi e' sempre sembrato una sorta di errore di Yan, quello di non cercare piu' un aiuto terapeutico, adesso mi pare l'esercizio della decisione che scaturisce in parte dalla forte e netta sensazione di averne abbastanza. Con una precisazione, pero'.

Una volta arrivo' in ufficio ubriaco fradicio, e io e Frantz, un collega, lo mettemmo in macchina al volo e lo portammo dove abitavo. In piazza Cinque Giornate dovemmo rincorrerlo per strada perche' era scappato giu' dalla macchina... non sapevo se ridere o piangere. Vivevo con tre ragazze, i quei giorni, ad una delle quali, Letizia, una siciliana dolcissima, spiegai per sommi capi la dinamica della faccenda. Piazzai Yan a smaltire i fumi sul mio letto e mi raccomandai con Letizia di chiamarmi per qualsiasi motivo al mondo, spiegandole reiteratamente che non la lasciavo con un ubriacone assassino e che non correva pericoli. Fu coraggiosa, ma ero certo di quel che le dicevo.

Alla fine della giornata lavorativa tornai a casa, da Letizia non avevo ricevuto chiamate d'aiuto o simili, ed un controllo all'ora di pranzo mi aveva rassicurato sul fatto che Yannick stesse ancora riposando.
T
rovai Letizia incantata da Yannick. Questi mi spiego' che si era svegliato, con la vescica a mille, e che aveva svuotato una bottiglia d'acqua e ci aveva orinato dentro per la vergogna di chiedere dove fosse il bagno. Poi era uscito dalla mia camera e aveva fatto conoscenza con la mia coinquilina. Letizia era all'oscuro, e Yan mi prese da parte e si raccomando' caldamente di sbarazzarmi dell'oggetto malefico ripieno del liquido rifiuto color del sole, e di non farlo sapere a lei. Mi ringrazio' e tutto quanto, scappo' via, e la cosa si chiuse cosi'.

Io penso che Yannick fosse stufo anche di faccende come questa. Io non lo giudicai male per nessuna delle cose che aveva fatto quel giorno, ne' lo fece Letizia che anzi non smise di enumerare le virtu' di Yan (era una ragazza sensibile e intelligente).

Ma c'era qualcuno che non perdonava, e quel qualcuno era Yan stesso. E adesso capisco che quel qualcuno, per quanto mi riguarda, di questi tempi, sono in effetti io, non molto diversamente.

Penso che Dio chiamando Yan a se', gli abbia fatto un grandissimo favore. Aveva, se non ricordo male, sui trentasette o trentacinque anni quando mori'. Penso che nessuno potesse piu' aiutarlo, non perche' fosse ontologicamente impossibile, ma perche' era al punto in cui essere aiutati e' come prendersi in giro da soli, perche' si crede, si sa, che ci si ritrovera' ancora e ancora con qualcuno che non pensa niente di male di te, anche se stai orinando in una bottiglia perche' ti vergogni di te stesso e non hai il coraggio di chiedere dove sia il bagno.

Ci sono persone, io credo, come Yannick, e come me, in modo un po' diverso, che dopo averlo piu' o meno metaforicamente fatto infinite volte, arrivano al punto di preferire di pensare alla morte o comunque di tirare a campare, piuttosto che chiedere ancora una volta dove si trovi questa volta l'ennesimo, maledetto bagno.

So Google, per molti versi l'autentico sepolcro della memoria storica dei nostri tempi, di Yannick, ingiustamente, rimane solo questo:

http://www.varesenews.it/articoli/2001/marzo/tempo-libero/16-3teatroepoesia.htm


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Un caro amico di entrambi mi ha segnalato che con una ricerca piu' appropriata, si puo' trovare di Yan molto di piu':  qui.

12 marzo, 2011

Scelte impossibili


Penso che solo a pochi sia dovuto di sopportare l'immenso stridore della roccia della realtà contro la pietra della bellezza.

Non è certo un privilegio. E' piuttosto un fenomeno che può essere considerato un onore, per non cedere all'idea che sia un immenso e dolorante fardello.

E' come volare raso sul mare calmo di smeraldo, e cabrare nel cielo azzurro e poi blu, e sentire al contempo che si sta provando qualcosa che non è reale, anzi, di deleterio.

Un'allucinazione è reale quanto basta per non poterla distinguere da ciò che “è” realmente, senza volersi qui addentrare nei meandri delle affascinanti teorie sulla conoscenza.
La bellezza, invece, ha un preciso grado di realtà.

Quando i fortunati la percepiscono come dato ontologico, e tuttavia, presto o tardi, la vedono collidere come una stella silenziosa con una singolarità, un buco nero di realtà, essi rilevando l'impossibilità per ella di continuare ad essere ciò che fino a quel momento è stata, ebbene, costoro devono operare una scelta.

Già membri per caso di un gruppo relativamente ristretto, essi possono decidere di cedere ai laccioli del buon senso, e ridefinire le coordinate nelle quali si spostano la bellezza e la realtà, caso più comune, in modo che la prima sia subordinata alla seconda.

Oppure, possono rimanere incantati dalla bellezza al punto di ridefinire le coordinate della propria percezione della realtà in modo tale per il quale la realtà diviene subordinata alla bellezza, la quale esiste ed esiste, e cui quella che è l'ontologicamente immodificabile realtà, si piega, o così pare, come acqua che, colpita da un sasso, inevitabilmente si deforma, creando delle onde circolari.

Ecco che, nel secondo caso, si manifesta il sogno categorico, il sogno come dato di realtà.

Del resto, chi sceglie la seconda via, dilaga nella realtà, divenendo fondante la realtà stessa ed andando in contro ad un balzello molto caro.

Tecnicamente parlando, in effetti questo approccio non è funzionale alla buona riuscita di una vita umana. E' piuttosto funzionale all'immolare la propria personalità all'Idea, un atteggiamento probabilmente nevrotico.

D'altro canto, c'è sempre una scelta fra le due posizioni: abbandonare o relativizzare il sogno, oppure eleggerlo a realtà effettiva. A volte la scelta e' consapevole, a volte no.

L'arte che pochi, e a caro prezzo, praticano, è rimanere quanto possibile in equilibrio sulla lama della scelta, guardando da lontano la bellezza assoluta, e soffrendo infinitamente i morsi di una realtà che non si accetta interamente, e di cui pure si bisogna.

Si è pazzi, ed eroi, ed idioti, tutte le tre cose ad un tempo: perchè si vive non bene, e si lascia dietro di se' poco o niente, ma si gode del sogno puro.

Eppure, come rinunciare alla bellezza assoluta! Non ne sarò capace probabilmente mai, e questo mi costerà amicizie, fortune, amore, e forse la vita.

13 luglio, 2010

Se non basta non vivere, per morire

Qualcosa in effetti e' andato cambiando, in un lustro di sangue, cicatrici, battaglie, tatuaggi, sostanze, lacrime.

E' un cambiamento del quale mi sono potuto accertare, in effetti, solo in tempo recente, anche se una veglia piu' attenta forse mi avrebbe permesso di prenderne atto tempo fa.

Nelle mia guerra di posizione, nei decenni, affossato nel buio delle ridotte, in trincee fangose e odoranti di vita, del puzzo della vita, ho sentito esplodere i bombardamenti, mi sono rintanato, in lacrime, nell'angolo piu' scuro di ripari improvvisati, l'arma stretta al petto.


Altre volte eravamo all'attacco, nel sole, le baionette luccicanti e il sorriso un po' folle di chi ricaccia nella melma cio' che l'ha costretto per mesi nella mota.

Posizioni guadagnate, posizioni perse, ferite dolorose, piccole gioie. A volte anche un po' piu' grandi.


Con quest'anno e' un lustro che, mappa dispiegata sul tavolo, conficco puntine che delineano una preoccupante, tragica in massima parte, lenta e costante ritirata.

Quella che era sempre stato il moto di un pendolo, si sta trasformando in una discesa simile al procedere di una frana fangosa per il pendio di un monte.


Mi rendo conto con chiarezza sempre maggiore, e con una lucidita' che era venuta meno, che a fronte, se vogliamo essere puntuali, di effettive conquiste collaterali, quasi da intelligence militare, non si sono concretizzati progressi tattici sul campo, di alcun valore.

Tant'e' che anche oggi mi trovo, come un veterano con troppi anni sulle spalle per credere ancora di riuscire a vincere la Guerra Eterna, a scartabellare tra le vecchie lettere mai spedite, tra le foto sbiadite di altri momenti, di licenze piu' o meno lunghe e piu' o meno felici dalle trincee piene di fango e solitudine, ma che sono state, pur sempre, licenze.


Penso che un soldato che combatta il mio genere di guerra e che guardi troppo spesso indietro, sia un soldato che comincia a credere di non avere molto tempo davanti, e di averne un po' troppo alle spalle.


E' anche un soldato che sta lasciando scivolare la nitida bellezza del suo obiettivo dietro di se', che si sta accorgendo che i meccanismi che gli hanno concesso di rimanere, anno dopo anno, lustro dopo lustro, con l'occhio fisso avanti, il fucile carico, pronto a sparare sempre per primo, attento e diritto in prima linea, questi meccanismi sono venuti meno senza che egli se ne potesse accorgere.


Lasciandolo quindi senza terra sotto i piedi, nello slancio dell'ennesimo attacco.

Lasciandolo nella nefasta condizione di chi non comprende con chiarezza cio' che lo circonda e, soprattutto che scelte fare, anche solo per restare vivo, non parliamo d'altro.


Allora tira fuori dalla sporta altre e piu' vecchie foto, ritrovate, e si chiede cosa sia successo da allora, in quei cinque, dieci anni trascorsi dallo scatto di una vecchia reflex, si chiede perche' la linea del suo esercito sia arretrata di chilometri senza che egli se ne rendesse conto.


Forse anche questa e' un'illusione, in una trincea nebbiosa che non lascia comprendere con chiarezza piu' nulla.


E chiedere supporto ai compagni, quelle figure nebulose che hanno permesso di vincere tanti scontri, d'improvviso pare quasi impossibile: vecchi commilitoni si sono trasformati in estranei i cui fini sono poco chiari, altri compagni d'arme non ci sono piu', perche' sono morti.


Mi ritrovo quindi da solo a fissare la mappa con le puntine conficcate, a fantasticare audaci aggiramenti e attacchi formidabili, per poi lasciar cadere la braccia lungo in fianchi, di fronte alla solitaria incertezza di un soldato semplice chiamato ad un compito piu' grande di lui, nel silenzio dell'abbandono.


E' possibile vincere una Guerra Eterna? Si', alcuni lo hanno fatto, a caro prezzo, naturalmente.

Mi arrovello su di un altro interrogativo: quand'anche fosse possibile, sarebbe per me un trionfo, una mezza vittoria, o peggio, una vittoria di Pirro?


Da un pezzo ho capito che, alle condizione degli ultimi cinque anni, se potessi arrendermi, lo farei. Mi duole ammetterlo.

E' pero' affascinante constatare come la vita vada avanti anche se non la si vive.

Purtroppo, non basta non vivere, per morire.

18 aprile, 2010

Irriverenza

Senz'altro sappiamo che che gli eventi non infilano una corrente monotona, ma tessono intrecciate teorie di colori.

Le categorie che usiamo per percepirli e collocarli in un quadro coerente, si rivelano inadeguate spesso nei modi piu' drammatici. Del resto, piegare a tratti umani degli accaduti di per se' ignoranti dell'uomo, e' ardito, e quando l'elasticita' della realta' si esaurisce, le categorie appaiono improvvisamente del tutto inappropriate, e il fenomeno esplode, attraversando trasversalmente, simile ad un getto di fiamma, cio' che era stato dato per assodato.

A questo punto, ci rendiamo conto della realta' della realta', ovvero, per meglio dire, della scarsezza e della pochezza delle nostre categorie.

Di conseguenza, diventa necessario rifondare le medesime, processo autonomo e probabilmente autoconservativo, fino a che il nuovo evento che aveva esulato dalla comprensibilita' non potra' essere benevolmente accolto nella mente.

La scossa che pero', fortunatamente, ci attraversa, in queste fasi, e' molto utile per comprendere la mera semplificazione che si e' operata, nel corso del tempo, nel processo di comprensione della realta'.

Pensiamo all'adolescenza e alla forza degli effetti della realta' sulla mente, che posti al confronto con gli attuali, appaiono di una rozza ma formidabile utilita'.

Pensiamo anche all'efficacia rimodellante, sulle categorie, di molte esperienze successive, che costringono a revisioni approfondite, in eta' piu' matura, di concetti come lealta', amicizia, famiglia.

Infine, la letargica maturita' ha di solito approntato una risposta a quasi tutte le evenienze.

Per questo e' piu' scossa da eventi dall'intensita' fuori scala, o che esulano ampiamente dalle categorie.

Nel corso di questi anni abbiamo osservato noi stessi e gli altri attraversare una trasformazione psicologica inevitabilmente diretta verso la stabilita'.

Anche quando la stabilita' e' consistita nell'accettazione dell'instabilita', un assurdo, ma tanta e' la forza della necessita' di catalogazione delle esperienze.

Il dodici o l'unidici di questo mese, e' morto un uomo che ha avuto nella nostra esistenza un ruolo che si sta rivelando, con i giorni che passano, di un'agghiacciante importanza pratica e teoretica.

Un uomo per il quale, e del quale, l'affetto si e' potuto toccare con mano solo dopo che e' stato chiuso in una bara.

I rapporti con il quale si sono dovuti ridiscutere in un attimo, quando si e' acceso in un lampo un mondo di relazioni ignote, di dettagli banali e umani mai venuti alla luce in tanti anni.

Un funerale che ha sparato nella notte un bengala, illuminando la vita di un uomo, passato in pochi istanti da elemento categorizzato, a persona, da dato di realta' accettato come scontato, a fenomeno esplosivo connotato in modi cui siamo soliti reagire in altra maniera.

Connotati che sono cioe' quelli di una persona amata, quando i precedenti erano, in sostanza, di uno strumento, di un fatto scontato, di una risorsa cui attingere senza dubbi.

E' pero' troppo tardi, adesso, per poter considerare quell'uomo per quello che le emozioni cieche lo affrescano adesso: una persona amata, un fine e non solo un mezzo.

Dario e' morto. Ma la sua morte e' per noi doppiamente, triplicemente dolorosa.

La prima categoria e' stata facilmente applicata: la perdita. Era e non e' piu', e non sara' piu', qui.

Il secondo ordine di dolore e' stato invece il primo evento a squassare la fondamenta delle nostre categorie. Era un uomo, al di la' delle ore spese nello studio. Esisteva oltre. Ma noi non ne abbiamo mai avuto esperienza, e questa frattura e' impossibile da risanare. Chi fosse quell'uomo al di la' della stanza con i fiori freschi, non sappiamo. Non abbiamo potuto rifondare la sua conoscenza in due ore di funerale e tre parole con parenti stretti di cui ignoravamo del tutto l'esistenza.
Apprendere quindi che non potevamo pensare a Dario come una persona autentica, come le altre, ma solo come ad un uomo a meta', conosciuto solo nei limiti del suo lavoro e delle mie necessita', e' stato tremendo.

Il terzo ordine di dolore affiora selvaggiamente con i giorni che passano, plumbei. Rappresenta l'intero carico di umanita', esperienze, scambi, addirittura realta', che esistevano esclusivamente fra noi, almeno in certe modalita'. Fuori dallo studio andavano ad assumere altri connotati, ora utili, ora drammatici, ora divertenti.
Ma nello studio c'era un microcosmo fertile e ricchissimo, malamente o mai categorizzato a pieno, che e' diventato oggetto di conoscenza quando ha smesso di poter rimanere vitale e dinamico.
Dario e' morto, e con lui la possibilita' di vita propria di questo insieme di pensieri, emozioni, riflessioni: non bastiamo da soli a tenerlo acceso, perche', e solo adesso e' possibile cogliere questo dato, erano necessarie due vite per farne cosa viva, la sua e la nostra.
La percezione inevitabile, poi, che questo rapporto, questa complessa infrastruttura della nostra vita non esista completamente al di fuori del nostro rapporto con Dario, e' agghiacciante. Dario e' morto, e la sua morte e' coincisa con quella di un progetto, di una composizione dinamica di emozioni e ragionamenti e modi di vedere che era unica e non riproducibile.

Ora, quindi, quando guardo alla nostra vita, e penso a come aggiungere un nuovo fiore alla nostra composizione personale, mi accorgo che questa composizione e' stata in realta' creata negli anni spesi nello studio con lui, e mi rendo conto che non esiste piu' la possibilita' di farlo: i fiori sono morti, tutti.

Ed ecco, quindi: Dario e' mancato, e la sua morte ha sfracellato molte categorie che, fino al tragico giorno, erano state in grado di farci comprendere.

Ora non capiamo piu', e dobbiamo pero' continuare a capire, perche' la morte di quell'uomo non ha messo fine alla Guerra Eterna. Forse con lui siamo stati ad un passo dal vincerla, trionfalmente anche. Di certo grazie alla sua grandezza abbiamo potuto mettere a segno vittorie clamorose, e moltissime.

Ora siamo se possibile, e si', e' possibile, e' sempre possibile, ulteriormente soli.

Quindi, Dario, grazie per aver avuto, anche sparendo da questa vita, il ruolo non da poco di chi riesce a farci ripensare noi stessi con critica passione, e con quel rigore e onesta' intellettuali che entrambi, ne sono certo, ammiravamo profondamente gli uni nell'altro.

E, a parte questo, quanto affetto e quanta simpatia, non ci potremo mai piu' scambiare!

Ma arrivera' anche il mio turno, e ci rideremo sopra, ma niente birra da bere insieme: ti fa addormentare.

Questo, almeno, lo sapevo, di te.

30 dicembre, 2008

Aforismi/2


Talvolta ci si incolpa delle proprie cure e delle proprie sfortune; si pensa che siano effetto diretto dei propri errori, di proprie incapacità. In realtà, l’uomo contemporaneo non si accorge nemmeno quanto larga sia la misura da addebitare alla società rispetto ai suoi malanni. L’animale sociale ha generato una società asociale.

Un uomo sfortunato in amore e' in genere fortunato nelle amicizie.

Le peculiarità di ognuno possono fargli meritare il peggio, perché banalmente fraintese.

Non pensate che sia onesto proporre voi stessi così come siete: potreste scoprire quale sia il vostro sapore in bocca agli altri.

Talora, la solitudine fa' dimenticare l'effettiva utilità del raggiro e della menzogna nei più semplici casi di vita.

Un uomo che pensa può arrivare a fare affermazioni diverse e complesse, talvolta odiose. 

Ricordatevi di smettere di pensare, prima di parlare.

In genere l'adolescente abbraccia il senso comune, il giovane uomo lo ripudia, l'uomo adulto lo crea, il filosofo ne viene stritolato.

Il coraggio talvolta non consiste nel guardare negli occhi il prossimo con onestà, ma nascondere meglio i propri scheletri nei più nascosti armadi.

Dalla tristezza discende la rabbia. Dalla rabbia scaturisce l'azione negli uomini di cuore, ma ancora tristezza per gli uomini di mente.

Dai migliori intenti nascono le migliori sciagure: per evitare un possibile burrone a voi stessi ed agli altri, vi spezzerete le gambe nella buca accanto, trascinando forse qualcuno con voi.

E' buona norma agire per il bene solo quando siete certi di non conoscerlo con certezza.

Certe faccende con le donne sono in effetti un processo contrattuale. Non commettete l'errore di apporre la vostra firma senza chiarire che quella sia effettivamente una firma.

Molti si guardano dal prossimo con la giusta attenzione. Se siete persone istintivamente fiduciose, non commettete il gravissimo errore di pensare che la vostra fiducia verrà istintivamente ricambiata.

L'ingenuità e' la peggiore delle maledizioni: travisa la realtà ed espone il fianco ad un tempo, creando i presupposti perfetti per una caduta dolorosamente ingloriosa.

Quando, ad una certa età, scoprite di sapere di non sapere, e' tempo di fuggire a gambe levate dalla mole di sciocchezze che avete detto e fatto nel frattempo.

Cercare di capire il punto di vista altrui su di voi non e' un punto d'onore, segna invece il punto dove inizia il crepaccio.

Pensare e' gratificante per chi pensa, noioso o letale per chi ci circonda, in ordine di genere maschile e femminile.

Le incomprensioni amorose sono simili ad un paio di gattini che baruffano per poi smetterla, distratti. Quando si cerca di capirle, diventano un paio di bestie oscene che cercano l'ultimo sangue.

Non conoscerete mai del tutto le esperienze altrui. Regalando anche solo un fiore, potreste riportare alla mente di chi avete di fronte una brutta avventura in un roseto spinoso. Se poi la vostra iniziativa e’ straordinaria, siate almeno preparati ad una straordinariamente rapida ritirata.

Non abbiate paura di chiedere. Soprattutto, non abbiate paura dei relativi rifiuti.

22 dicembre, 2008

Aforismi

Un uomo sfortunato in amore e' in genere fortunato nelle amicizie.

Le peculiarita' di ognuno possono fargli meritare il peggio, perche' banalmente fraintese.

Non pensate che sia onesto proporre voi stessi cosi' come siete: potreste scoprire quale sia il vostro sapore in bocca agli altri.

Talora, la solitudine fa' dimenticare l'effettiva utilita' del raggiro e delle menzogna nei piu' semplici casi di vita.

Un uomo che pensa puo' arrivare a fare affermazioni diverse e complesse, talvolta odiose. Ricordatevi di smettere di pensare, prima di parlare.

In genere l'adoloscente abbraccia il senso comune, il giovane uomo lo ripudia, l'uomo adulto lo crea, il filosofo ne viene stritolato.

Il coraggio talvolta non consiste nel guardare negli occhi con onesta', ma nascondere meglio i propri scheletri.

Dalla tristezza discende la rabbia, dalla rabbia l'azione per uomini di cuore, o la tristezza per gli uomini di mente.

Dai migliori intenti ncadrete ascono le migliori sciagure: per evitare un possibile burrone a voi stessi ed agli altri, vi spezzerete le gambe nella buca accanto, trascinando forse qualcuno con voi.

E' buona norma agire per il bene solo quando siete certi di conoscerlo.

Certe faccende con le donne sono in effetti un processo contrattuale. Non commettete l'errore di apporre la vostra firma senza chiarire che quella sia effettivamente una firma.

Molti si guardano dal prossimo con la giusta attenzione. Se siete persone istintavmente fiduciose, non commettete il gravissimo errore di pensare che la vostra fiducia verra' istintivamente ricambiata.

L'ingenuita' e' la peggiore delle maledizioni: travisa la realta' ed espone un fianco ad un tempo, creando i presupposti perfetti per una caduta dolorosamente ingloriosa.

Quando ad una certa eta', scoprite di sapere di non sapere, in genere e' tempo di fuggire dalla mole di sciocchezze che avete detto e fatto nel frattempo.

Cercare di capire il punta di vista altrui su di voi non e' un punto d'onore, segna invece il punto dove 



20 dicembre, 2008

Tempesta di Shamal sulla tenda di un soldato

Oggi ho provato il dolore piu' grande e acuto da anni ed anni.
Sono un soldato, combatto da sempre e ho cicatrici su corpo e anima.
Sedici anni di battaglie mi hanno insegnato molto. Ma non ero preparato a questo.

Affermo, assolutamente convinto, che nessun essere umano mi ha mai fatto provare una sensazione tremenda come questa.

Ne ho viste: anni in trincea a pregare Dio di riuscire a farcela e a non lasciarmi andare, terapia, farmaci, sempre in prima linea pronto a combattere per capire e risolvere, per vivere meglio.

Mai mollato, sempre combattuto, sempre disposto a provare una tattica diversa. La Guerra Eterna e' una prova che non tutti avrebbero sopportato come ci sono riuscito io, lo dico senza prosopopea.

Tanti calci in faccia, incidenti di percorso, strade sbagliate, ma sempre avanti, anche oggi fino a poco fa, nella mia tenda non piu' solitaria nel deserto.

Ma ho sottovalutato la crudelta' degli uomini e delle donne, ho sottovalutato quanto persone che non sentono rimorso possano lacerare le anime come una baionetta le carni.

Ora sono di nuovo solo nella mia tenda, abbandonato come uno straccio usato e ormai inutile. Pieno delle mie lacrime e di uno sbalordimento folle, pieno di rabbia e di impotenza, pronto a combattere ma senza un nemico.

Non ho mai sofferto cosi' tanto per l'abbandono di una ragazza. Due giorni sono bastati, si' due miserabili giorni. Il mio codice d'onore, la mia morale, messa alla berlina.

Scrivo quelle stupide frasi da rivista patinata femminile: sedotta e abbandonata, lui mi ha umiliata... ma sono al maschile ed e' un soldato che lo scrive.

Domani soldato tornero', pazzo e eroe, finalmente conscio dello squallore morale che serpeggia senza freni tra persone che vivono e agiscono senza pensare. Ho capito che razza di animali, bestie, si aggirano tra i giusti.

Ma non mi fermo, slaccio i legacci della tenda e sfido, la sabbia che mi taglia il viso, il piu' grande dolore mai provato, nella piu' buia tempesta di Shamal mai abbattutasi sulla una tenda di un buon soldato.

11 dicembre, 2008

Il "Sogno Categorico" come dato di realta'

Il sogno e' il pensare con desiderio che qualcosa accada in un certo modo, oppure e' il pensare con desiderio che nell'accadere, cio' che accade risponda a canoni di qualsivoglia natura.

Il secondo tipo di sogno, definiamolo "Sogno Categorico", non individua un singolo evento, bensi' una serie di circostanze vere le quali, il vissuto si identifica con il sogno, e' "da sogno".

Esempio di sogno: diventare ricco.
Esempio di Sogno Categorico: vivere eroicamente.

Nel primo caso, il sogno corrisponde ad un desiderio circoscritto, svincolato da altri "se".
Nel secondo caso, il sogno corriponde alla sottomissione al canone "eroismo" di qualsiasi cosa accada nella vita.

Se il Sogno Categorico viene assorbito dalla coscienza come dato di realta', in maniera sostanzialmente nevrotica, si ottiene che l'approccio all'agire sara' subordinato alla prospettiva che l'agito possa o meno corrispondere ai canoni del Sogno Categorico.

Questo atteggiamento induce una rinuncia selettiva a esperienze potenzialmente o quasi certamente piacevoli in se' e per se', ma non corrispondenti ai canoni del Sogno Categorico, 

Il "Sogno Categorico come dato di realta' " puo' essere considerato da un lato un limite o problema del singolo, anche clamorosamente limitante, oppure, se lo si persegue consciamente, la somma espressione dell'afflato alla perfezione del vissuto, cui si sottomette consapevolmente anche l'esperienza del piacere, 

11 settembre, 2008

Nuova specie

Ho capito solo ora che io ed altri siamo una specie diversa.

Con specie

29 agosto, 2008

Sesso.

Ieri mi sono trovato immischiato in una discussione teologica. Una ragazza, critica nei confronti del Cristianesimo Cattolico, e io che smontavo abbastanza efficacemente le sue posizioni, per quello per cui e' valso.

La faccenda realmente interessante, a parte l'acquisizione del fatto che tutti gli illuminati anticristiani ripetono sempre le stesse cose, e' che statisticamente il punto realmente dolente riguarda l'imposizione di un comportamento da parte della religione riguardo l sesso.

Di fatto, mi sono convinto che queste persone non abbiano una vera anticristianita' nel sangue, come potrebbe averla un estremista animista o qualcosa del genere.

Quello che li fa' attaccare con veemenza e acrimonia la religione e' la supposta negazione da parte della stessa di una liberta', e piu' in particolare alla liberta' di fare sesso a volonta'.

Due millenni di storia cristiana cattolica messa all'indice perche', tra le mille e mille sfumature che vanno dal mistico al teologico al filosofico al pratico al morale, perche', per la miseria, non posso copulare quando e come voglio.

E' come se di fronte ad un supercomputer senziente, si scuotesse la testa e lo si liquidasse perche' il colore della tastiera non ci piace.

La questione "sessuale", che in realta' logora la Chiesa da un bel pezzo, deve rappresentare il motivo dell'abbandono dei credenti nella stragrande maggioranza dei casi.

Ma in effetti, qual'e' il cuore del problema sessuale con la religione?

Sono convinto che il problema sia da analizzare un poco piu' a monte.

Qual'e' il cuore del problema suscitato da una limitazione qualsivoglia all'attivita' sessuale?

E ancora piu' in alto: come viene utilizzata l'attivita' sessuale in questi anni?

Questa e' la chiave di volta, a mio credere, dell'intero sistema.

Il sesso viene utilizzato per il piacere che procura, piu' che all'interno di un sistema sensato. Con "sistema sensato" mi riferisco alla sovrastruttura emotiva che dovrebbe coinvolgere la pratica sessuale.

Ma il sotrrarsi del sesso da un sistema emotivo, ci fa salire di un altro gradino: cosa differenzia il piacere del sesso dagli altri piaceri?

Consumismo: acquisto di beni che danno effimero piacere.
Le droghe: cocaina, alcool, cannabis indica, MDMA
Sono solo due esempi.

Ma non tutti sono abbastanza ricchi, non tutti hanno il coraggio o mancano del buon senso a tal punto da addentrarsi nel mondo in salita dell'uso sistematico di uno stupefacente.

Cosa rimane nell'arido panorama di una vita sostanzialmente priva di una direzione che non sia quella data dal lavoro, al meglio?

Dopo tutto, ciascuno ha gli organi sessuali e l'impulso omonino. Non il sesso non fa male, non impoverisce.

Quindi si accetta l'impossibilita' di comperarsi cio' che si vuole, si subisce la proibizione dell'uso delle droghe, si accettano barbarie limitazioni alla liberta' individuale, tuttavia rimane impensabile accettare ANCHE una regolamentazione sessuale. Che quindi viene attaccata ad alzo zero.

Da qui la ridiscesa a piombo alla repulsione verso il Cattolicesimo Cattolico, che propone in effetti una limitazione, una regola nell'attivita' sessuale.

Impossibile da accettare, impossibile da considerare nemmeno come ipotesi.
Cosi' si corre come topi in trappola contenti di aver trovato una strada nel labirinto, e decisi a non lasciarsela sfuggire, a qualsiasi costo, anche al punto di rinnegare il senso religioso in senso ampio, una delle costituenti dell'Uomo in quanto tale, addirittura secondo la beneamata Scienza.

Come ci insegna il senso comune del 2008, non pensare troppo e cerca il piacere. Non importa cosa si perde o cosa si massacra, nella ricerca.

Anche l'Edonismo di antica fama e' piu' sensato

La via del topo, quindi, e' una sola: correre verso il formaggio, sputa sopra ogni altra alternativa, e per favore, dimenticatare che il formaggio, beh, quello non lo raggiungerai comunque mai.

27 agosto, 2008

Decalogo dell'Assassino


E' tempo ancora una volta di razionalizzare. Dopo lunghissimi mesi di sperimentazione raminga, di fughe e guerriglia, si sta tornando alla societa', alla Ragione. Infame Ragione.

E' ancora tempo di battaglie perse, di arretramenti di fronte, di fughe, occhi spalancati dalla paura, per cuniculi e ridotte di fortini una volta saldamente in mia mano.

Tonero' con le pive nel sacco, e qualche nuova cicatrice, a ricorrere ad uno Stato Maggiore che se infischia, in fondo, della Guerra Eterna, ma che potrebbe darmi gli strumenti per vincerla a mio modo.

Nel mentre, ho assemblato per necessita' un altro manifesto.

Il primo, tutt'ora il piu' valido, e' il Manifesto del Soldato:

http://www.shub.it/blog/2006/01/manifesto-del-soldato.html

Ora, purtroppo, posso proporre il Manifesto dell'Assassino:

1) Non avere una famiglia
2) Non avere amici
3) Non avere amanti
4) Usa le donne, se ne sei capace. Puoi farne comunque a meno.
5) Odia tutte le persone, maschi, femmine, di ogni razza, religione, mestiere, animo.
6) Odia ciascuno a priori, e se sei insicuro cerca un motivo per odiare: c'e' sempre.
7) Sarai sempre solo, ama la solitudine, ogni giorno in solitudine ti spezza per ricomporti piu' arido, quindi piu' duro, quindi piu' portato alla sopravvivenza.
8) Pensa sempre di essere il piu' forte. Se non lo sei, morirai.
9) La morte e' un dato di fatto, la si attende in silenzio.
10) Uccidi senza pieta', senza coscienza di uccidere, senza senso alcuno, senza scrupolo di sorta.
11) Con il coltello taglia arterie e vene del collo, con l'arma da fuoco due colpi al petto e uno alla testa.
12) Alla galera, preferisci la morte di tua mano.

Buon lavoro.


10 dicembre, 2007

Un attimo condiviso, una vita per rifletterci

Sì, ho conosciuto una donna dai capelli rossi, non so' perché.
Un fuoco di legna, la carne sfrigolante su piastre improvvisate, solo la luce delle fiamme, indecisa, a scolpire le nette eppure inafferrabili forme dei ragazzi e ragazze seduti intorno al falò. Parlavano di tante cose, semplici per lo più, e belle della sincerità di quegli anni, forse un lustro fa, si aveva dai ventuno ai venticinque anni. Si era vergini: più che vergini, si viveva il momento platonico, ben raro e prezioso. Bene, vino e birra abbondavano, perché non avrei lasciato che nessuna serata morisse per la morte di vino, birra o legna.

Ecco, il vino e la birra avevano benedetto senza riserve le intenzioni degli astanti, e forse sull’onda di quelle ebbrezze che mi permisi di mettere becco in una conversazione sull’arte. Si trattava del Romanico del milletrecento, e dissi la mia sul gotico-romanico del Duomo di Milano, forte dell’alcool che cantava, e degli studi. Così finii ad approfondire il concetto con lei su una panchina lontano da tutti. Avrei potuto baciarla, e l’avrei voluto. Ma non potevo: una promessa mi legava ad un'altra donna. E così passammo qui momenti solitari seduti su d’una panchina sotto alberi fintamente disinteressati, senza che potessi fare ciò che avrei voluto: benedire quell’incontro bellissimo con un bacio.

E passò del tempo, e ancora ci fu un falò misterioso a suo modo, e non mancarono ancora ne’ vino ne’ birra ne’ fiamme di legna. E ancora ella ed io ci trovammo su quella panchina. Nessun impegno però legava in quel momento il mio cuore: e in nome del bene del mondo tutto, e di quanto stupenda ella fosse, la baciai.

Non baciai solo una ragazza ma baciai un mio amore in erba, una speranza senza un nome preciso, un afflato.

Poi passò del tempo. E la vita mi fece cadere in un'assassina disperazione.
Fui risparmiato nell'urto, per caso, per volere di Dio o per semplice meccanica, per un fine remoto, o per una fluttuazione quantistica del nulla, come mi disse una volta un amico.

Ospedale: non sapevo se sperare che tutti se ne andassero o che altri arrivassero. Ero lì con me stesso a pensare che ero vivo, per Dio!

Poi, al secondo o terzo giorno, arrivò la ragazza dai capelli rossi.

Ebbe un gesto di gentilezza: si accovacciò vicino al lato destro del mio letto, letto sul quale il mio gomito giaceva con me, spezzato, e io la contemplai, ardendo per una promessa impotente.

Ella si accovacciò, e mi disse senza ellissi ne’ asianismi, per la cui assenza provo ancora grande rispetto, che aveva ritrovato un buon rapporto con l’uomo che amava o cui voleva bene in precedenza, non saprei dire ora, e che quindi fra me e lei qualsiasi progetto era da considerarsi inattuabile.

Ella disse solo le prime parole, il resto lo aggiunsi io per estrapolazione lineare. Le dissi che andava tutto bene, che non doveva preoccuparsi, che non c’era problema, che era meglio per tutti che ella fosse felice.

In fondo era bello: quando si sfascia il meccanismo, tanto vale che non rimanga nemmeno una rotella dritta. Avevo il mio ospedale, la mia moto distrutta, una storia d'amore finita da poco e un'altra che nemmeno era riuscita a cominciare, dopotutto.

E le visite di amici e conoscenti si diradarono: infine sarei rimasto vivo senza riserve. Il mio braccio ed io uscimmo dall’ospedale, e francamente, cercai invano di dimenticarmi la cosa, ma naturalmente, non fu così mai, nei miei pensieri che prediligono ostinatamente il "se…" all’ "è".

Poi la rividi e rividi la sua anima, almeno così credo, e tristemente ne baciai il travaglio. Ancora lo faccio ogni giorno, una maledizione o un bacio quotidiano di Dio, come un doloroso bel tramonto.

Laggiù nella mia anima riderò e soffrirò per sempre di quei baci e di quell’anima che ho avuto la fortuna di sfiorare.

Di fatto, qualsiasi cosa sia detta, quella parte di gioia e sofferenza fanno di me quello fu deciso io sia, finanche ora che sto scrivendo.

21 agosto, 2007

Ricordi - 2

Un paio di birre.

Un cannello per saldature a propano/butano, con una bombola della Camping Gaz che riesce giusto a produrre una fiammella della misura di un accendino Bic, ma blu e violetto, come il cielo piu' bello. Calda.

Un ometto per appendere i vestiti, di ferraccio, piegato diverse volte, fino ad ottenere un breve tratto diritto, preciso.

Al calor rosso, di piu' il cannello non scalda una lega che dovrebbe invece fondersi nell'ipotetica fiamma a 1.350 Celsius sbandierata sulla confezione. Reclamero' alla Camping Gaz.

Odore dello strinare, che arriva dall'infanzia, un ricordo vecchio di vent'anni, mentre l'ometto si avvicina alla pelle.

Una fitta per disegnare, scolpire il primo tratto.

La pelle, poi la carne, bruciano, letteralmente, il metallo sprofonda come un coltello nel burro.

Il dolore non e' significativo. E' solo insipido, come sempre. Inutile.

Il secondo tratto, il cannello riporta il metallo al calor rosso.

Il braccio e' un po' inclinato, il marchio e' decisamente meno pulito... direi che e' proprio mal riuscito.

Mi fermo alla prima lettera: il resto della parola aspettera'.

18 giugno, 2007

Lezioni di balistica

API: Armour Piercing Incendiary.
Quando si tratta di guerra e amore tutto e' lecito, quindi e' lecito usare questi proiettli. Ecco, banali proittili, piu' o meno grossi, accomunati dallo scopo per cui vengono sparati. Perforare la corazza (Armour Piercing) e incendiare cio' che sta dall'altra parte (Incendiary).

Ce ne sono di tutti i colori, fogge e gusti, da quelli montati nelle mitragliatrici multicanna degli elicotteri Apache (30 mm di calibro), a quelli sparati dai carri armati da 120 mm.

Uno di questi penetratori cinetici (cioe' che basano la capacita' di distruggere l'obbiettivo solo sulla energia cinetica (velocita') che accumulano in volo, e' dotato di un ogiva in tungsteno. Come anche l'Uranio 238, cosiddetto impoverito, hanno la pregevole caratteristica di incorrere in un immediata pirolisi una volta che penetrino la corazza dell'obiettivo.

Tutti bruciano vivi in pochi istanti.


25 maggio, 2007

Ricordi - 1

Sulla mia moto, bellissima.
Un temporale, e la mia misera tenuta antipioggia: giacca di pelle, kefiah al collo, casco chiuso, jeans, Clarkes fasulle ai piedi. Il peggio possibile, ma non ha la piu' menoma importanza.

Un cattivo temporale che mi insegue, lungo la Bretella, un moncherino di un di strada a tre corsie per senso di marcia, illuminata da lampioni alteri, pronta per la velocita'.

La meta: una casa calda, un abbraccio caldo, un bacio d'amore, qualche giorno di intimita' e serenita' con la donna che s'ama.

Scoppia l'inferno, o il paradiso per me, perche' potrebbe esplodere un vulcano a pochi metri dalla mia via e non me ne cruccerei punto, vista la meta.

Nubifragio, le gocce di pioggia colpiscono duro sulle gambe, spalanco il gas e mi butto in curva sentendo l'acqua come staffilate di coltello sulle gambe. Quasi mi fa piacere. Tuona un fulmine, cade troppo vicino, i lampioni si spengono in sequenza, e sorrido.

Sempre piu' forte, la curva finisce, infine un lungo rettilineo, verso l'alba, verso il piacere, verso il futuro in cui si crede davvero, verso il domani di rose e seta.

Mi attende una bella reprimenda per il mio stato, sono completamente fradicio, all'arrivo: ma che importa, essere vivi e aver cavalcato l'emozione e' solo un modo per sorridere all'amore che palpita dietro la sgridata.

Bagno lo zerbino, mi libero degli indumenti che grondano troppo e faccio un passo oltre l'uscio, oltre il futuro, oltre la speranza che magicamente splende in quella casa.

Sorrido. Sento l'incombere infausto del futuro e non credo al piacere che provo, solo al brivido dell'emozione. Me ne faccio volutamente sopraffare, e sorrido.

20 febbraio, 2007

Necessario e sufficiente

In questi giorni mi stanno capitando diversi fatti che mi hanno spinto a scrivere qui.

A quanto pare la vita diventa sempre piu' difficile col passare del tempo: questo l'ho accettato da tempo.

Quello che mi lascia sconfortato e' che questa difficolta' non si limita alla presentazione di fenomenologie via via piu' complesse, ma ha un lato secondario, oscuro, nascosto.

Alcuni elementi che sono sempre stati solidi, tendono a divenire via via piu' fragili, legami di amicizia che si sfilacciano, strette di mano una volta ferree ridotte a molli imitazioni di un segno di fratellanza.

Intenzioni comuni che diventano punti di vista opposti, il perdono e la comprensione che si fanno durezza d'animo e giudizi rigidi.

Mentre nel mio cuore non e' cambiato niente: morirei per le stesse persone per cui sarei morto dieci anni fa.

Oggi, queste persone seguono, incuranti di cio' che un tempo era un rapporto di fratellanza, i loro fini; donne che amo o ho amato, per le quali disegnerei ritratti nel cielo, ferite da una mia sbadata o malaccorta parola, versano fiele sulla ferita che mi ha indotto a far loro inavvertitamente del male, mentre m'arrabatto disperatamente per scusarmi.

Piu' gli anni passano, piu' vedo intorno a me tante persone che diventano sole, e arrabbiate, e vendicativamente attaccate ai loro principi.

E se vieni marchiato come "nemico", avrai un bel daffare per recuperare quel centinaio di metri di fiducia perduti magari per una sbadataggine o per un gesto compiuto con colpevole, senz'altro, distrazione, ma non con voluta cattiveria.

Ma probabilmente sono io che non cresco e mi ostino a credere nell'amore eterno, nell'amicizia eterna, nel perdono.

Mi chiedo quanto anche io forse senza rendermene conto sia diventato cosi' "brutto" dentro.

Ma del resto ormai sto capendo che gli Uomini e le Donne adulti sanno che sbarazzarsi dei pazzi come me e dei nostri squallidi idealismi e' condizione necessaria e sufficiente ad un vivere piacevole.

22 ottobre, 2006

Inferni 2/3

Tra le esperienze indescrivibili che devono aver provato gli esploratori sbarcati sulla Luna c'e' senza dubbio la poco impressionante, a parole, percezione di un orizzonte "piu' vicino".

Questo concetto, che ad un'analisi frettolosa puo' passare in secondo piano rispetto alle altre mirabolanti conquiste del famigerato sbarco sul satellite, e' in realta' forse il piu' impressionante in assoluto, a ben pensare.

Orizzonte piu' vicino significa vedere la fine del mondo, o meglio la sua curva, il suo sfuggirci all'occhio, molto piu' marcatamente, distintamente.

Potremmo, lassu', vedere che dopotutto davanti a noi non c'e' una pianura infinita ma un semplice segmento, con un inizio, che e' sempre molto, troppo lontano alle nostre spalle, e una fine.

Gia', quei poveracci hanno visto la fine del segmento. Non hanno avuto la fortuna di poter credere che fosse piu' o meno indefinibile, in lunghezza, come noi quaggiu', non piu' almeno, da quella volta.

Quando la portata della finitezza si affaccia alla coscienza, tremano le gambe e battono i denti.

Leggo spesso in scritti per idioti, pecore, e pressapochisti della filosofia fatta in casa con la ricetta della zia, che non si e' in grado di cogliere l'infinito in senso lato. E sogghigno: quello che non si riesce a cogliere, e soprattutto accettare, e' quanto tutto sia dannatamente finito.

La vita, come il segmento che ci separa dall'orizzonte, ha una finitezza precisa, chiara, manifesta. Sulla Luna deve apparire in un evidenza da atterrire: non si puo' camminare per sempre senza trovarsi al punto di partenza.

Uno degli Inferni e' probabilmente proprio la Luna, a prescindere, ma il terzo, il peggiore, e' proprio trovarsi, dopo un lungo viaggio, esattamente dove si e' partiti, ma senza aver mai avuto nemmeno la piu' vaga intenzione di tornare a casa, che illuminerebbe tutto di un'altra luce.

Quindi ancora l'Uroboro, il famigerato serpente che si morde la coda: ma questa volta vorrei il caro Nietszche dell'eterno ritorno silenzioso e non additante la mia paura quando piu' che superuomo mi sento atterrito, e perche' no, assolutamente disperato, senza scampoli di salvezza in vista davanti al ripetersi infinito, nella finitezza del mio orizzonte sempre piu' curvo, delle stesse piccole, terrificanti catastrofi.

Specie quando, per aggiustare tutto, si sono tagliate le ultime strade che avrebbero forse portato un briciolo di serenita' a rompere il monotono terrore del martirio.