08 aprile, 2019

Ipnosi

In fondo, onestamente, io non posso dire di averla conosciuta davvero. Se su di lei ho sentito mille ore di racconti, in proporzione con lei personalmente avro' scambiato forse un'ora di chiacchiere. Aveva un modo di parlare che mi affascinava, come se stesse raccontando qualcosa a se' stessa, e se parlava di qualcosa che le piaceva, le si illuminavano gli occhi. Ma posso dire, senza paura di essere bollato come un disonesto adulatore a caccia di prebende, che in lei avevo sentito qualcosa di non ordinario, straordinario forse.

Col senno di poi, per me e' lampante che sia la persona piu' spietatamente affamata di vivere, piu' che di vita, che abbia mai conosciuto. L'epilogo della sua parabola a mio dire lo dimostra nitidamente. Forse poteva andare altrimenti, ma, sempre forse, solo a persone molto, molto piu' comuni.

Nata in compagnia di una malattia che non l'ha infine perdonata, era una ragazza molto bella, di quella grazia finissima, quasi angelica in certi istanti, che non puo' che colpire fortissimamente i sensi e far innamorare allo schiocco delle dita.

Ma la natura del suo animo era tutt'altra questione. Credo di avere avuto la fortuna, nella sfortuna, di avere per lei minima visibilita' fino, forse, all'ultimo: certo questo non mi fa sentire particolarmente fiero, ma ho l'impressione che mi abbia permesso di cogliere della sua complicata natura il risuonare di molte note che altrimenti non avrei mai udito.

Se tutte queste ciance paiono un far facile dietrologia, devo chiarire, ammettere anzi, che come ho sempre avuto paura di lei, in un certo senso, ho paura anche a scriverne ora, pur avendone bisogno: nel dubbio tra tenere una linea prudente, oppure ostentare su di lei certezze da spacciare per oggettive, mi limitero' a dire quel che penso, ai fatti non credo abbia molto senso ricorrere se non lo stretto necessario. Quelle che seguono sono quindi le mie impressioni e sensazioni, che non hanno pretesa di verita'.

Ammetto che ho solamente riflessi ed ombre, e la memoria di lei cosi' come l'ho potuta conoscere.

Ne ho avuto paura immediatamente, come si avrebbe paura di una bellissima tigre affamata, che si guardasse in giro, ipnotica, dissennata, stupenda, e ci vedesse, e ci soppesasse, e decidesse che non valessimo il tempo di un pasto, voltandosi brusca altrove, liberandoci da un incantesimo che ci avrebbe forse fatto strappare il cuore dal nostro petto per offrirglielo, se fosse durato un attimo ancora.

Mi terrorizzava anche l'idea che tra quello che cercava e cio' che potevo eventualmente offrire si spalancasse un orrido, un abisso. Sarei un iprocrita se non ammettessi che le prime volte che la vidi mi ammalio', come penso capitasse a molti. Ma un pizzico di onesta' intellettuale e saggezza ed altro su cui preferisco sorvolare, per cosi' dire, mi fece ritenere opportuno chiudere il mio ammaliamento nello sgabuzzino dei rimpianti.

Nel corso del tempo, ho imparato che, quando raramente capitava, trascorressi del tempo con lei, potevo girare nei suoi paraggi senza venire notato dalla sua natura eternamente affamata, ed osservare il suo manto felino senza rischi eccessivi.

Era una persona intelligente, talvolta scaltra. Ai miei occhi spiccava che tanto fosse luminosamente bella, quanto il suo animo un dedalo poco illuminato di rami di frutta e rovi, e quale fosse un viticcio carico d'uva dolce, e quale invece una lama di spine, lo si poteva scoprire solo dopo averlo afferrato. Personalmente non ci provai mai.

Era una persona in un certo senso annoiata: quella sua voracita' temo le avesse fatto perdere il gusto del pasto quotidiano di vivere di cui aveva bisogno. Questo la rendeva ulteriormente feroce, in un certo modo, come solo la fame sa rendere.

Sembrava cercare sempre qualcosa che rimaneva appena fuori portata, nonostante tutto. Come molti coraggiosi, cercava di raggiungerla per tutte le vie che le venissero in mente, comprese quelle pericolose e pericolosissime, senza contare quelle che le "anime belle" non vorrebbero nemmeno sentire nominare.

Avevo l'impressione che amasse vivere quanto la vita ignorasse lei. Come una regina, avrebbe potuto avere il paradiso e l'inferno, assisa su un trono in grado di contare solo i secondi di infelicita'; credo che a sua discrezione, quanto dell'inferno che del paradiso, avesse in effetti nel tempo disposto di vasti domini, ma sospettavo altrettanto che la sua natura nervosa e vorace non le avesse mai concesso di trarne grandi vantaggi.

Ho sempre avuto l'impressione che avrebbe morso la mano che le avesse regalato il mondo, e stretto quella con l'unico grano di pietra preziosa che al mondo non ci fosse stata, anche al prezzo supremo.

Quello che credo fosse davvero difficile capire per chiunque, me compreso, fino alla fine, e' quale fosse infatti la portata effettiva di questo suo amore famelico per l'esistenza. Ora, nella mia immaginazione, il giorno che avesse avuto in mano mare, cielo, terra e il cuore del migliore degli uomini, avrebbe ben volentieri gettato tutto nelle fiamme del Sole per aver udito un bisbiglio che suggeriva ci fosse dell'altro, da qualche parte, da andare a cercare. Non per cupidigia; per lo stesso motivo che spinge i piu' grandi a non smettere mai di superarsi.

Le sue condizioni di salute potevano arrivare, altalenando, ad essere di quelle che spezzano l'acciaio. Nessun'animo fine, nessuna mente vivace puo' accettare quella condizione e non uscirne cambiata dai dubbi e dal risentimento. Io sono convinto che fosse molto, molto arrabbiata.

Il mio debole per lei torno' dopo molto tempo a farsi sentire. Non so per quale genere di misteriosa variazione della Musica delle Sfere, una sera fui colto da un'emozione e scrissi qualche riga per lei, dopo anni durante i quali non ero piu' riuscito, o non avevo piu' voluto, per quel che vale, a buttare giu' una parola. Fortuna volle, le piacquero. Il che, essendo io cio' che sono, mi delizio' e inevitabilmente solletico' la mia vanita'. In un certo senso mi sentii degno di accostarmi a lei, prudentemente.

Era estate, lei in ospedale, pensavo per uno dei soliti ricoveri in day hospital; mi allontanai dalla citta' per un paio di settimane di montagna, che passai francamente davvero allegro, cantando Springsteen, il braccio fuori dal finestrino, in attesa di vedere se con lei sarebbe potuto succedere qualcosa: e lo scrivo con il massimo del pudore e il massimo del rispetto, sia ben chiaro, esattamente come fu allora. Come tutti gli uomini non ancora invecchiati abbastanza, pensavo naturalmente che ci fosse ancora il tempo per tutto.

Dovevo tornare quel giorno, nel pomeriggio, ma era morta nella notte.

Per quel che vale, dopo anni prima di lei, e ad oggi, che di anni ne sono passati altri ancora, e' stata l'ultima volta che ho provato qualcosa di molto vicino all'innamorarsi.

Oltre all'imperitura ammirazione del suo regale, fortissimo desiderio di vivere, il regalo piu' bello che mi si sarebbe potuto fare, di cui sono e saro' sempre, con il massimo garbo, grato a Dafne.