13 luglio, 2010

Se non basta non vivere, per morire

Qualcosa in effetti e' andato cambiando, in un lustro di sangue, cicatrici, battaglie, tatuaggi, sostanze, lacrime.

E' un cambiamento del quale mi sono potuto accertare, in effetti, solo in tempo recente, anche se una veglia piu' attenta forse mi avrebbe permesso di prenderne atto tempo fa.

Nelle mia guerra di posizione, nei decenni, affossato nel buio delle ridotte, in trincee fangose e odoranti di vita, del puzzo della vita, ho sentito esplodere i bombardamenti, mi sono rintanato, in lacrime, nell'angolo piu' scuro di ripari improvvisati, l'arma stretta al petto.


Altre volte eravamo all'attacco, nel sole, le baionette luccicanti e il sorriso un po' folle di chi ricaccia nella melma cio' che l'ha costretto per mesi nella mota.

Posizioni guadagnate, posizioni perse, ferite dolorose, piccole gioie. A volte anche un po' piu' grandi.


Con quest'anno e' un lustro che, mappa dispiegata sul tavolo, conficco puntine che delineano una preoccupante, tragica in massima parte, lenta e costante ritirata.

Quella che era sempre stato il moto di un pendolo, si sta trasformando in una discesa simile al procedere di una frana fangosa per il pendio di un monte.


Mi rendo conto con chiarezza sempre maggiore, e con una lucidita' che era venuta meno, che a fronte, se vogliamo essere puntuali, di effettive conquiste collaterali, quasi da intelligence militare, non si sono concretizzati progressi tattici sul campo, di alcun valore.

Tant'e' che anche oggi mi trovo, come un veterano con troppi anni sulle spalle per credere ancora di riuscire a vincere la Guerra Eterna, a scartabellare tra le vecchie lettere mai spedite, tra le foto sbiadite di altri momenti, di licenze piu' o meno lunghe e piu' o meno felici dalle trincee piene di fango e solitudine, ma che sono state, pur sempre, licenze.


Penso che un soldato che combatta il mio genere di guerra e che guardi troppo spesso indietro, sia un soldato che comincia a credere di non avere molto tempo davanti, e di averne un po' troppo alle spalle.


E' anche un soldato che sta lasciando scivolare la nitida bellezza del suo obiettivo dietro di se', che si sta accorgendo che i meccanismi che gli hanno concesso di rimanere, anno dopo anno, lustro dopo lustro, con l'occhio fisso avanti, il fucile carico, pronto a sparare sempre per primo, attento e diritto in prima linea, questi meccanismi sono venuti meno senza che egli se ne potesse accorgere.


Lasciandolo quindi senza terra sotto i piedi, nello slancio dell'ennesimo attacco.

Lasciandolo nella nefasta condizione di chi non comprende con chiarezza cio' che lo circonda e, soprattutto che scelte fare, anche solo per restare vivo, non parliamo d'altro.


Allora tira fuori dalla sporta altre e piu' vecchie foto, ritrovate, e si chiede cosa sia successo da allora, in quei cinque, dieci anni trascorsi dallo scatto di una vecchia reflex, si chiede perche' la linea del suo esercito sia arretrata di chilometri senza che egli se ne rendesse conto.


Forse anche questa e' un'illusione, in una trincea nebbiosa che non lascia comprendere con chiarezza piu' nulla.


E chiedere supporto ai compagni, quelle figure nebulose che hanno permesso di vincere tanti scontri, d'improvviso pare quasi impossibile: vecchi commilitoni si sono trasformati in estranei i cui fini sono poco chiari, altri compagni d'arme non ci sono piu', perche' sono morti.


Mi ritrovo quindi da solo a fissare la mappa con le puntine conficcate, a fantasticare audaci aggiramenti e attacchi formidabili, per poi lasciar cadere la braccia lungo in fianchi, di fronte alla solitaria incertezza di un soldato semplice chiamato ad un compito piu' grande di lui, nel silenzio dell'abbandono.


E' possibile vincere una Guerra Eterna? Si', alcuni lo hanno fatto, a caro prezzo, naturalmente.

Mi arrovello su di un altro interrogativo: quand'anche fosse possibile, sarebbe per me un trionfo, una mezza vittoria, o peggio, una vittoria di Pirro?


Da un pezzo ho capito che, alle condizione degli ultimi cinque anni, se potessi arrendermi, lo farei. Mi duole ammetterlo.

E' pero' affascinante constatare come la vita vada avanti anche se non la si vive.

Purtroppo, non basta non vivere, per morire.