22 ottobre, 2006

Inferni 2/3

Tra le esperienze indescrivibili che devono aver provato gli esploratori sbarcati sulla Luna c'e' senza dubbio la poco impressionante, a parole, percezione di un orizzonte "piu' vicino".

Questo concetto, che ad un'analisi frettolosa puo' passare in secondo piano rispetto alle altre mirabolanti conquiste del famigerato sbarco sul satellite, e' in realta' forse il piu' impressionante in assoluto, a ben pensare.

Orizzonte piu' vicino significa vedere la fine del mondo, o meglio la sua curva, il suo sfuggirci all'occhio, molto piu' marcatamente, distintamente.

Potremmo, lassu', vedere che dopotutto davanti a noi non c'e' una pianura infinita ma un semplice segmento, con un inizio, che e' sempre molto, troppo lontano alle nostre spalle, e una fine.

Gia', quei poveracci hanno visto la fine del segmento. Non hanno avuto la fortuna di poter credere che fosse piu' o meno indefinibile, in lunghezza, come noi quaggiu', non piu' almeno, da quella volta.

Quando la portata della finitezza si affaccia alla coscienza, tremano le gambe e battono i denti.

Leggo spesso in scritti per idioti, pecore, e pressapochisti della filosofia fatta in casa con la ricetta della zia, che non si e' in grado di cogliere l'infinito in senso lato. E sogghigno: quello che non si riesce a cogliere, e soprattutto accettare, e' quanto tutto sia dannatamente finito.

La vita, come il segmento che ci separa dall'orizzonte, ha una finitezza precisa, chiara, manifesta. Sulla Luna deve apparire in un evidenza da atterrire: non si puo' camminare per sempre senza trovarsi al punto di partenza.

Uno degli Inferni e' probabilmente proprio la Luna, a prescindere, ma il terzo, il peggiore, e' proprio trovarsi, dopo un lungo viaggio, esattamente dove si e' partiti, ma senza aver mai avuto nemmeno la piu' vaga intenzione di tornare a casa, che illuminerebbe tutto di un'altra luce.

Quindi ancora l'Uroboro, il famigerato serpente che si morde la coda: ma questa volta vorrei il caro Nietszche dell'eterno ritorno silenzioso e non additante la mia paura quando piu' che superuomo mi sento atterrito, e perche' no, assolutamente disperato, senza scampoli di salvezza in vista davanti al ripetersi infinito, nella finitezza del mio orizzonte sempre piu' curvo, delle stesse piccole, terrificanti catastrofi.

Specie quando, per aggiustare tutto, si sono tagliate le ultime strade che avrebbero forse portato un briciolo di serenita' a rompere il monotono terrore del martirio.

09 ottobre, 2006

Inferni

Ho scoperto che non c'e' limite al cambiamento, e che il cambiamento puo' portare a situazioni inconsistenti, destrutturate e insensate.

Ogni giorno che inizia e finisce porta con se' in ogni caso esperienze nuove. Non credevo di riuscire a rimanere inalterato come se le menzionate esperienze non esistessero. Questo e' stato il mio piu' grande cambiamento. Sono diventato qualcosa nel quale tutto cio' che accade non lascia traccia.

Piu' precisamente, nella mia cristallizzazione, ripercorro ricorsivamente schemi di pensiero e ricordi di vissuti piu' o meno recenti, incessantemente, ossessivamente, senza che cio' che mi dicono o che provo giorno per giorno influenzi questo inalterabile eterno ritorno sui propri passi.

Anche scrivere qui e' quasi impossibile, ingabbiato come sono in uno schema che si ripete in continuazione. Essere riuscito a venire qua a scrivere due righe e' gia' un miracolo, che naturalmente domani sara' dilavato dalla pioggia triste di vecchi ricordi di momenti sereni o felici che ripercorrero' per l'ennesima volta.

Ho infelicemente chiuso il mondo intero fuori dalla porta, e con mio sommo stupore, nel mio autismo, sono statico.

Onestamente, credevo che sarei progressivamente impazzito o precipitato in una disperazione insopportabile.

Ma a quanto pare non c'e' limite al cambiamento, e cosi' mi affaccio al mondo ignorandolo e riesco ad andare avanti come niente fosse, e temo potrebbe essere cosi' per un tempo indefinito.

E' come vivere ed essere morto: la migliore definizione di questa condizione e' inferno in terra.