23 dicembre, 2005

Ancora Guerra!

Al termina di una parentesi durante la quale ho creduto di poter sfuggire alla Guerra Eterna, arrendendomi, mi trovo ora, di nuovo, martoriato da un esilio inglorioso e non da una dignitosa resa, a tessere ordito e trama della stessa mia Guerra Eterna.

Non le ho potuto sfuggire, ella mi ha riacciuffato come un gorgo invincibile: ma non ne sono spaventato, perche' ho visto le alternative, ho toccato con mano cosa sia davvero la resa.

Per certo, ho avuto davanti a me solo due scelte: la morte, o la sofferenza continua e crescente.

Ho deciso quindi di abbracciare nuovamente armi e bandoliere e riprendere a combattere piu' furiosamente che mai. Mi assista Dio e l'uomo in questa impresa, perche' sara' l'ultima e la piu' importante della mia esistenza: il bivio.

So che e' una scelta di necessita', e so anche che non e' possibile fare altrimenti: pur tuttavia sono deciso ad andare fino in fondo a questo massacro eterno.

Questa e' una decisione presa giorni addietro. Ci sono altre novita'.

Questa notte e' stata spesa in compagnia di una persona che, in un certo senso mio malgrado, e' in grado si suonare molte corde del mio cuore un po' vizzo.

Questa persona ha il sapore e i profumi di un luogo strano e avulso dal reale, del quale con tutta la mia forza mai riesco a iscovrirne i piu' scuri anfratti: non che non vi abbia riversato parecchie delle mie energie. Semplicemente, si tratta di un compito duro. Spero infine di riuscirvi.

Devo ammettere con sincerita' che, pur con tutta la prosopopea che mi contraddistingue, questa sera sono stato posto di fronte per la prima volta da molto, molto tempo, a critiche che hanno raggiunto lo scopo di suscitare in me dei dubbi completamente autentici e direi anche nuovi.

E' con amarezza che sono costretto ad ammettere di non aver compreso a pieno quanto sia successo questa sera: c'e' chi parla chiaro ed invece pone enigmi. E' raro incontrare queste persone, ma talvolta accade.

Non ammettero' che le sue parole siano assolutamente vere, perche' non lo credo affatto.

Del resto, concedero' alle sue osservazione la giusta attenzione.

Rimane amarissimo nel mio cuore, come gia' successe, quel vago sapore di sconfitta, l'ennesima, in un tentativo di sorpassare quel baratro di buio che mi separa da questa donna, cercando di risalire il vento delle sue parole cui espongo il mio fianco.

Come spesso mi e' successo con questa donna, credo che ci sia piu' di quanto detto nelle parole che ho sentito, e di aver compreso meno di quanto ho sentito tra le parole che mi sono state dette.

Esporsi e' un errore che ho gia' commesso, ma la brama di lei, come in passato, mi costringe a compromessi svantaggiosi.

Sento le Furie che ululano, ma non posso decidere, ancora.

Cerchero' di trarre l'utile e lascero' il resto, ma perdo sangue e ho una Guerra da vincere: con il sacrificio, sapro' duellare, come ho gia' fatto altre volte, su due fronti, o quanti mai questa vita dannata me ne porra' di fronte.

Del resto, sono aggressivo e coriaceo... che lo si declini in bene o in male poco cambia.

Chissa' cos'altro sono: questo da lei non lo sapro' mai.
Ne' lei sapra' mai chi ella stessa sia, in realta'.

16 dicembre, 2005

La distanza fra il Cielo e l'Abisso

Qualche sera fa, grazie alla chimica, ho assaporato la reale distanza tra il Cielo e l'Abisso.

Il tempo che trascorre tra assaporare un estasiante, fragoroso e sincero profumo, con il volto che affoga tra i capelli scompigliati della donna amata, dopo una notte trascorsa insieme, ed espirare, abbandonando quel istante di celeste per sprofondare in un abisso di isolata consapevolezza.

La chimica lo rende sperimentabile in vitro, l'amore e la complessita' dell'Uomo lo rende possibile.

07 dicembre, 2005

A che fare con la luna

Lavorare la notte presenta innumerevoli vantaggi.

Uno di questi e' captare i momenti della giornata da un punto di vista un po' diverso dal solito.

Svegliarsi quando la citta' si rifugia nei bar a mangiare un panino per pranzo, e percorrere le strade vuote di Milano nel primo pomeriggio, deserte di vita e di promesse.

Saltare pranzi e cene, sfigurando, come all'opera si di un diamante grezzo, la stabilita' dei ritmi, per ricavarne una pietra lavorata, ed unica.

Smettere quando gli altri iniziano, iniziare quando gli altri smettono, le notti si fanno giorno ed i giorni notte, trilla nel sangue l'ambizione, e al risveglio non c'e' spazio per i dubbi.

La solitudine e' uno degli scotti da pagare, ma e' mia compagna fidata dei momenti piu' importanti da sempre, che mi piaccia o meno, quindi l'accetto di buon grado e non disturbo gli uomini e le donne che mi scorrono a fianco, veloci ed irraggiungibili quanto vagoni di un treno in corsa osservati da un palmo di distanza.

Solo, con musiche, pensieri, parole per nessuno, nelle notti che si fanno giorno, orologi che segnano orari assurdi e stravaganti, come i luoghi dove compro da mangiare e da bere, fuori dai canoni del senso comune.

All'alba giunge la mia notte.

E questa notte, al ritorno, mi ha accolto la luna crescente. Confesso che ho cercato di ignorarla, per un po'.

Poi si e' stagliata, come usa fare quando esige la mia attenzione, tra le case, e non ho potuto piu' fare a meno di tributarle ancora il mio amore sempiterno, bianca come la pelle di una dea sul cupo blu del cielo di Milano spazzato dai venti gelati.

Vorrei dare qualcosa in cambio alla luna, compagna instancabile e suprema della solitudine, simbolo stesso della solitudine, per tutte le serate che si e' concessa a me senza pudori.

Spesso le gridavo "Non piangere o luna, presto moriro' " ... ma la mia morte non le servirebbe, non la lusingherebbe punto, senza dubbio non piu' del molcersi del mio animo, quando solitario ella, tra i palazzi di questa silenziosa citta', mi si offre come unica compagna, in attesa di un futuro qualsiasi, la cui attuazione sembra, in quegli istanti, inutile nemmeno prendere in considerazione come eventualita' possibile.

Quando ho a che fare con la luna, sono vicino ai miei limiti, di fronte alla mia Nemesi.

A me e' sempre piaciuto avere a che fare con la luna.

03 dicembre, 2005

Scritto e ascoltato

Nuovo post su Basta Scrivere!
Ascoltatelo, un feedback sara' apprezzato anche su Guerra Eterna, perche' la guerra, tuttavia, continua ancora, finche' ci sara' vita, qui.


23 novembre, 2005

Resa dignitosa

Si puo’ anche giungere alla conclusione che si e’ fatto di tutto per quasi tre lustri nel tentativo di cambiare con sottili alchimie gli esiti delle giornate che passavano, del trascorrere del tempo, per trasformare la vita da Guerra Eterna a esistenza civile.

Potrei elencare successi e sconfitte, fare bilanci, decidere cosa fare in base ad accurate analisi dell’evoluzione della Guerra Eterna.

Gli ottimisti trarrebbero da queste analisi l’evidente conferma che, franco tutto, sono stati via via conquistati punti strategici sempre piu’ importanti, e che la qualita’ emotiva e psicologica della mia vita, per la quale combatto, e’ di fatto migliorata, e che sono stati ottenuti ottime vittorie. Poi seguirebbero accalorate discussioni sulle componenti cui addurre i meriti e sconfitte, come spartire la torta della presunta parziale vittoria.

C’e’ comunque del vero.

I pessimisti punterebbero invece il dito sul presente, sullo status-quo, sul come stanno le cose. Su cosa ho, cosa sono, chi sono, cosa ho in mente, adesso, ora, qui mentre scrivo.
Direbbero che un investimento cosi’ grande, cosi’ tante rinunce e cosi’ tanto sangue versato non valgono assolutamente l’attuale condizione, e che nel complesso, si e’ di fronte ad una clamorosa vittoria di Pirro. Seguirebbero in questo frangente ricerche di capri espiatori et similia.

E anche qui c’e’ del vero.

Del resto, buffo a pensarlo, analisi come questa che sto assemblando, sono passate da un PC all’altro nel corso degli anni, dai vecchi Amiga, ai primi Pentium, fino ad oggi, attraverso peripezie, traslochi, sempre conservate su hard disk via via sostituiti, in un evoluzione tecnologica cui hanno resistito, immutate.

E in buona sostanza sono tutte simili, tutte claudicanti, appoggiantesi a due distinte staffe, l’una scolpita nel morbido legno di una sommessa speranza, l’altra ricavata dal rugginoso ferro della cupa disperazione.

E ancora, eccone un’altra, cui ne potrebbero seguire altre mille migliaia.

Oggi, non credo di avere la possibilita’ di modificare il divenire in un modo sostenibile. Comunque esso evolva, e comunque io reagisca, anno dopo anno, traggo sempre le medesime conclusioni, le medesime righe sono affidate a file di testo, diari, moleskine, blog, a seconda di dove e quando vengono scritte, concepite.

Come dicevo giusto ieri, questo 2005 che va’ morendo mi ha offerto in fondo la bellezza di un mese e mezzo di tranquillita’, quasi di benessere se vogliamo essere positivi.

Un risultato notevole, un mese e mezzo l’anno di vita decente dopo 14 anni di Guerra.

Forse dovrei rallegrarmene, ma visto che ho le lacrime agli occhi mentre sto scrivendo, credo che sarebbe inopportuno.

Mi piacerebbe avere una controparte cui arrendermi, ai quali piedi poter gettare il mio armamentario di idee, chimica, amarezza, ore di riflessione, per ricevere un colpo di grazia, la schiavitu’, qualsiasi cosa.

Anche un ufficiale superiore cui lamentare la mia situazione potrebbe soddisfarmi, ma non esiste nemmeno questo, nonostante lo si possa individuare forzosamente, come talvolta ho fatto.

E allora basta, si tratta di me di fronte a me stesso. Io e me soli, che ci fissiamo negli occhi e che ci mentiamo da 14 anni.

Mi dico che mi basta, e’ al divenire che mi rimetto. La guerra continuera’ per sempre, questo lo so bene, la sofferenza mi spetta di diritto, a quanto pare, ma so anche che nessuno mi costringe a sparare, a inventare strategie, ad attuare tattiche per stare meglio, per vincere, infine.

Non sparero’ piu’ un colpo, non faro’ piu’ un gesto, non pensero’ piu’ a cosa fare in un'ossessionante massacrante maratona.

Molto probabilmente verro’ travolto e massacrato dal divenire, molto probabilmente vivro’ una vita pessima, molto probabilmente breve, come un accattone prendero’ quello che trovero’ di decente e lascero’ perdere il resto, un barbone che fruga nella spazzatura, circondato di certo dal biasimo, dalla riprovazione, dalla disapprovazione, e cosi’ via.

Del resto, lo so, la gloria non mi spetta, non mi spettano la felicita’ e la pace.

Cio’ che non so e’ cosa in effetti mi spetti.

Temo lo scopriro’ presto.

21 novembre, 2005

Altrove

Sono elegante.

Non e' banale scomparire nel nulla in eleganza.

Introvabile, impalpabile, evanascente, eppure pronto a rispondere, con qualche limite, ai propositi esterni, che si affacciano quotidianamente.

Oppure, come dicono gli Idlewild qui,

"I'm safe in a hiding place
It's the only way I feel safe
When I'm safe in a hiding place"

Sono al sicuro, al sicuro dalla vita, al sicuro dal divenire, un mondo cristallizzato in una condizione che non accetto ma che non nego.

E' come essere morto, senza esserlo.

Per gradi, sto andando altrove.

10 novembre, 2005

Contro il buon senso

Si tratta, in buona sostanza, di accettare dei limiti.

Quand'anche si sapesse per certo che in potenza si potrebbero realizzare le piu' mirabolanti ipotesi, e si vivesse nell'evidenza della mancanza di questi risultati, non sarebbe forse saggio accettare lo status quo?

Veleggiare nei maelstrom e' forse utile? Lo e' stato superare le Colonne d'Ercole?

Due esempi identici ed opposti, dove il coraggio o l'avventatezza o la fede hanno portato in un caso la morte, in un altro la maggior gloria.

Ma prima dell'atto, nessuno avrebbe potuto mai predire, sapere, cosa sarebbe successo: il buon senso, che arda, avrebbe dissuaso da entrambe le imprese.

Dunque, e' giusto gettarsi tra le fiamme della possibilita' consci del costo, o accettare il limite e pascolare nell'ovino prato arido del quieto vivere?

Ebbene, chiniamo la testa di fronte al buon senso, confezioniamoci una bolla di tranquille fandonie, ma che nessuno mai parli ancora di qualcosa di simile ad una vita degna di essere vissuta.

E peggio che mai, nessuno predichi ancora il saggio uso del buon senso: sono ottusi coloro i quali credono che non vi siano uomini disposti a morire in un maelstrom, pur di sentirsi vivi, convinti che con un po' di buon senso si potrebbe stare senz'altro meglio, pascolando erba secca, che, dopo tutto, pur sempre, il buon senso lo dice, e' foraggio.

C'e' chi deve vivere un secolo brucando, e chi deve morire per niente, con gli occhi luccicanti di ebbrezza, in un maelstrom.

Chi puo' capire, e' gia' morto.

05 novembre, 2005

L'essenza dell'amore

"Juliet, when we made love you used to cry
You said 'I love you like the stars above, I’ll love you till I die' "

Parole di un pezzo dei Dire Straits, "Romeo and Juliet", l'album e' "Making Movies", del 1980.

Probabilmente una delle piu' sintetiche espressioni in musica e parole di quella che io considero l'essenza dell'amore.

Anche nell'attimo piu' intenso di unione e di felicita', stilla la malinconica sensazione della vastita' del sentimento che si prova, che si alza nel cielo, fino alle stelle, incommensurabile, tanto da portare alle lacrime.

22 ottobre, 2005

Vento di Shamal sulle tende della Settima

Nel 1941, il generale maggiore Erwin Rommel fu posto a capo della Settima divisione Panzer, al comando della quale dovette condurre operazioni belliche in Africa: si tratta del celebre Africa Korps.

Rommel dovette affrontare una serie di situazioni estremamente varia, sia dal punto di vista tattico che strategico.
In particolare, Rommel ritenne estremamente importante la presa di Tobruk, una cittadina marittima in Libia, porto strategicamente significativo.

Il 12 gennaio 1941 Tobruk era stata conquistata da truppe australiane e britanniche. Per propria conformazione, Tobruk era una roccaforte pressoche' imprendibile, e le fortificazioni alleate ne avevano reso, grazie ad una serie di ridotte e avamposti, ulteriormente difficile la conquista.

Il 10 aprile 1941 Rommel sferro' il primo di una lunga serie di attacchi, che sfociarono in un nulla di fatto. Rommel sacrifico' tempo, uomini e mezzi in un lungo assedio che non riusci' a piegare i soldati alleati, supportati dall'artiglieria pesante della marina britannica, che incrociava indisturbata nelle acque di Tobruk, grazie alla presenza alleata a Malta, mai conquistata dall'Asse, nonostante le ripetute e pressanti richieste in merito inoltrate da Rommel a Berlino.

Tobruk rimase un chiodo fisso nella testa di Rommel, e benche' l'offensiva del '41 non portasse alla caduta della citta', egli non smise mai di considerarne fondamentale la presa. Oltre all'assedio posto a Tobruk, Rommel, con la propria Settima Panzer, fronteggio’ tre offensive alleate atte a rompere dall'esterno l'assedio alla citta', riuscendo addirittura a conquistare posizioni al nemico, nelle abili fasi controffensive.

Nel 1942 Rommel ritorno' operativamente all'attacco di Tobruk. Dopo uno scontro decisamente arduo, Tobruk cadde il 21 giugno del 1942, non senza un impegno estremo da parte tedesca e italiana. Si tratto' di un evento fondamentale, dal punto di vista strategico, in quanto poteva garantire alle truppe dell'Asse un vantaggio logistico notevole.

Tobruk era comunque destinata a cadere nuovamente in mano alleata, creando problemi non indifferenti a Rommel, la cui divisione riceveva a stento munizionamento e rifornimenti lungo una linea che attraversava quasi interamente il Nordafrica, nella sua energica spinta che lo avrebbe portato fino all'invasione dell'Egitto, dove avrebbe dovuto arrestare l'avanzata di fronte al numero dei pur deboli carri di produzione Americana, paese entrato nel conflitto dopo i fatti del Pacifico, carri ceduti alle truppe britanniche di Montgomery, subentrato al comando.

Tobruk era stata una conquista importante, ma il senno di poi costringe ad ammettere che era impossibile da tenere per le truppe dell'Asse, soprattutto per la presenza della Royal Navy e per il costante apporto logistico di Malta.

C'e' una Tobruk, nella mia vita, una Tobruk che la mia Settima Panzer assalta a costo di gravi perdite, che viene conquistata e poi perduta, strategicamente importante ma solo in potenza, e tatticamente utile solo in apparenza: ad ogni conquista non puo' seguire il vantaggio strategico perche' non vi sono le condizioni per poter attingere ai frutti della mia Tobruk, e infine essa viene persa, con smacco tattico.

Eppure rimane un chiodo piantato nella mappa delle operazioni della mia mente, un tormento impossibile da cancellare, come fu per Rommel, che pur diede prova della propria genialita' tattica anche nel fallimentare primo assedio, ricacciando gli attaccanti alleati.

E ogni anno, come fu nell'estate del '42 per Rommel, si torna alla carica, ingaggio la mia Tobruk: ma panzer e cannoni da 88 mm possono al massimo piegare per qualche mese la “citta' destinata a cadere”. E se nel mentre la mia vita veleggia verso lidi tranquilli e accoglienti, come fu per Rommel durante la gloriosa invasione egiziana, rimane ancora Tobruk, mille miglia piu' indietro, a trascinare il generale maggiore nella malinconia e nella rabbia dell'impotenza, nelle notti solitarie spese da soldato nelle proprie tende, agitate dallo Shamal temporalesco di nordovest.

Non commettero' l'errore di Rommel, non sperero' che Berlino renda possibile la caduta definitiva della mia Tobruk: sono al corrente del fatto che non e' il valore di chi difende la cittadella che la rende imprendibile, bensi' la menzogna che la circonda.

La menzogna che rese Tobruk cio' che fu per Rommel nasceva dall'ipocrisia dello stato maggiore tedesco nei confronti dell'atteggiamento da tenere nei confronti di Malta, semplificando al massimo.

Le menzogne che rendono la mia Tobruk impossibile da prendere, tenere o distruggere, traggono la propria linfa dall'ignoranza e dalla buona fede di certi, e soprattutto dalla maligna devozione al falso di Tobruk stessa.

Sara' mia compito garantire alla mia ipotetica Settima Panzer un successo, quando sara' il momento: se mai capitera' di nuovo, e ancora la mia Tobruk crollera' sotto il ferro dei miei cingolati, allora, non ripartiro' per il mio Egitto in cerca di gloria, ma rimarro' a Tobruk quanto basta per svelarne le menzogne, e Malta non sara’ risparmiata.

Quando questo sara' fatto, Tobruk cessera' di rappresentare un incubo per le mie notti, tornando ad essere cio' che e': il ricordo di un trascorso in un porto dolce, ma ridotto ormai un cumulo di fumanti macerie trasudanti l’odore della morte e del passato che si decompone, dolciastro.

Allora l'Egitto potra' essere mio o meno, ma in ogni caso muovero' con la mente libera dagli spettri di cittadelle mendaci che incalzano le mie retrovie, e con l'immagine chiara in mente di una roccia, una lapide su Tobruk, che ricordi a chi la veda cosa possa significare assediare il vento della menzogna.

E al generale maggiore Erwin Rommel, il massimo rispetto ed onore per le operazione della sua Settima Panzer.

17 ottobre, 2005

Hide and Seek

Un pezzo che mi piace molto. Qui. Sotto riporto il testo. L'album da cui e' tratto, "Speak for Yourself", non e' molto interessante. Questo pezzo invece e' gradevole, ne apprezzo le armonie e, stranamente, l'utilizzo dell'elettronica, che in genere depreco.

Ne ho sentito un breve tratto in una pubblicita' televisiva.

Il gruppo si chiama Imogen Heap, qui c'e' l'ottimistica recensione di AllMusic.

Ecco il testo:
Where are we? What the hell is going on?
The dust has only just begun to fall,
Crop circles in the carpet, sinking, feeling.

Spin me round again and rub my eyes.
This can't be happening.
When busy streets a mess with people
would stop to hold their heads heavy.

Hide and seek.
Trains and sewing machines.
All those years they were here first.

Oily marks appear on walls
Where pleasure moments hung before.
The takeover, the sweeping insensitivity of this
still life.

Hide and seek.
Trains and sewing machines.
(Oh, you won't catch me around here)
Blood and tears,
They were here first.

Mmm, what you say?
Mm, that you only meant well? Well, of course you did.
Mmm, what you say?
Mm, that it's all for the best? Ah off course it is.
Mmm, what you say?
Mm, that it’s just what we need? And you decided this.
Mmm what you say?
What did she say?

Ransom notes keep falling out your mouth.
Mid-sweet talk, newspaper word cut-outs.
Speak no feeling, no I dont believe you.
You don't care a bit. You don't care a bit.

(Hide and seek) Ransom notes keep falling out your mouth.
Mid-sweet talk, newspaper word cut-outs.
(Hide and seek) Speak no feeling, no I don't believe you.
You don't care a bit. You don't care a bit.

(Hide and seek) You don't care a bit.
(Hide and seek) You don't care a bit.
(Hide and seek) You don't care a bit.
You don't care a bit.
You don't care a bit.

27 settembre, 2005

Omaggio a chi amo


Un omaggio per un amico, dal quale mi separa solo la follia degli uomini.
Ma, in maggior misura, la follia delle donne.
E la nostra debolezza, mia in un modo, sua in un altro.
Ma non esistera' mai nessuna o nulla che potra' cambiare la realta', la verita'.

Ad ogni incontro quelle strette di mano troppo lungo, quegli sguardi troppo profondi, come a voler dire qualcosa che non puo' piu' essere detto.

Ad ogni incontro, frasi di circostanza che arginano le lacrime, lacrime per un fratello perso, per entrambi.

Ad ogni incontro, calme formalita', e invece, senza profferire verbo, e' come se in ginocchio, l'un l'altro giurassimo la fedelta', l'amicizia, eterne, ancora, e ancora, una grottesca recita quali fossimo burattini dei quali qualcun altro tende i fili... e chi sia si sa.

Amico mio!
La mia vita ti appartiene, finche' saro' vivo. Non importano le tue ostentazioni di rifiuto, la verita' del tuo sdegno. Ho dei debiti verso di te che sono da pagare!!
E comunque, oltre l'orizzonte, c'e' il nostro amore che ancora oggi rimane, miracolosamente, inspiegabilmente, simile a quei giorni, simile ad un tempo che sembra lontano ma non lo e'.
Il mio debito con te, impagabile, e' amore, amore impossibile ad espletarsi.

Ho peccato nei tuoi confronti, ho tradito la tua fede in me, eppure mi darei al boia al posto tuo domani, e sempre cosi' sarebbe, pur se dovessi rivederti anche fra cinque o cinquanta lustri.

Tu stupido perche' ignori la verita' e credi alla menzogna, io stupido perche' errai malamente e ti arrecai danno!

La nostra amicizia travalica la menzogna, gli errori, e il tempo, e questo e' quanto di piu' incredibile la vita mi abbia riservato, in assoluto.

11 settembre, 2005

Questione di morale

Affrancarsi dalla propria morale e' un gesto forte, direi estremo, al quale seguono necessariamente contraccolpi.

Ho subito in prima persona l'affrancarsi altrui da una morale che molto ben conoscevo, direi perfino in maniera quasi assoluta, una morale che si puo' giudicare complessivamente atta al bene, per indicarne grezzamente la sostanziale mancanza di pulsioni maligne.

Un affrancarsi, si diceva, che si e' concretizzato in un gesto inteso senza mezzi termini a farmi del male, volutamente, con intenzione, con cura e cinismo, per certi versi stupefacenti.

Un far male che ha poco di diverso dall'affondare una lama nelle carni altrui, un far male che mi ha disgustato fino alla nausea, prima ancora che addolorarmi profondamente.

Vi e' senz'altro della temerarieta' in un gesto simile.

Se la premessa e' che affrancarsi dalla propria morale sia complesso, e' pure altrattanto vero che non e' affatto impossibile.

A ben pensarci, potrei infine fare lo stesso, per il gusto della vendetta o solo per provare qualche nuova via.

Di certo, tra le prime iniziative, restituirei quel favore.

A scanso di equivoci, in sunto, questa e' una minaccia.

Al termine della notte

"Quel che e' peggio e' che uno si chiede come l'indomani trovera' quel po' di forza per continuare a fare quello che ha fatto il giorno prima e poi gia' da tanto tempo, dove trovera' la forza per quelle iniziative sceme, quei mille progetti che non arrivano a niente, quei tentativi per uscire dalla necessita' opprimente, tentativi che abortiscono sempre e tutti per arrivare a convincersi una volta per tutte che il destino e' invincibile, che bisogna sempre ricadere ai piedi della muraglia, ogni sera, sotto l'angoscia dell'indomani, sempre piu' precario, piu' sordido.
Forse e' anche l'eta' che sopraggiunge, traditoria, e ci annuncia il peggio. Non si ha piu' molta musica in se' per far ballare la vita, ecco. Tutta la gioventu' e' gia' andata a morire in capo al mondo nel silenzio della verita'."

Céline, "Viaggio al termine della notte", pag. 225, edizioni Corbaccio, traduzione di E. Ferrero, quinta edizione giugno 1995.



03 settembre, 2005

Thrilling Rushes

Quando la guardi sei felice. Una felicita' chiaramente inconcludente, e si sente. Si sa, poi starai bene trenta minuti, cinquanta minuti, se sei fortunato. Ma prima, prima, sei felice, come durante un viaggio: non importa arrivare, conta viaggiare, magari vedere la meta che si avvicina e l'asfalto sfuggire rapido sotto le ruote, e quando la meta si avvicina si e' solo un poco piu' infelici, un poco di piu' ad ogni metro. All'arrivo, lo si sa, si cerchera' altro, ci si dedichera' alla ricerca di altre felicita'. Ma per quell'istante, momento, mentre le strisce tratteggiate scorrono e si viaggia, quello e' il momento della felicita', quella promessa di ignoto che da' gioia.

E' lo stesso, e' l'attesa del momento che incendia il desiderio, il pensiero che corre ricorsivamente verso l'immagine di quell'atto, di quei pochi secondi, di quella ritualita' che promette, come un viaggio, la felicita'.

Purtroppo in questo caso si arriva troppo in fretta, e si arriva soli. Trenta minuti, cinquanta minuti, poi e' finita, e brucia solo il desiderio di ripartire senza sapere perche', visto che ormai la meta e' nota e il piacere solo relativo, compresso, isolante, autistico, nel sangue trillano le farfalle, ma vivranno poco.

E almeno lo si facesse perche' convinti, a torto o a ragione, che e' quella, la felicita'.

Tutti si sa che invece non e' cosi', che e' solo un inganno, piuttosto goffo anche, ma irresistibile. E nessuno ne parla, tutti fingono di credere che sia la felicita', e aspettano il proprio turno, e tutti sanno che si finge, malamente anche, in realta' non c'e' nessuno da ingannare fino in fondo se non se' stessi.

L'indomani si paga lo scotto.
A volte e' alto. Quando e' abbastanza alto, abbastanza da farti abbandonare quell'ipocrisia indegna, credo sia gia' abbondantemente troppo tardi.

Questo e': camminare testardi su lame di rasoio, fingendo che quei tagli non sanguinino

20 luglio, 2005

Panni sporchi

Quando si demolisce un impianto esistenziale, sto scoprendo, non si incontrano solo fastidi prevedibili, anzi previsti, come vasti vuoti nei solai delle abitudini, solidi sentieri tracciati da tempo trasformati in percolanti camminamenti sospesi, incertezze abissali che temporaneamente costringono all'inazione o alla rinuncia.

Scopro con sincera sorpresa, e un misto di fastidio e dolorosa solitudine, che la demolizione non piace a eventuali terze parti, che vi vedono talora forme astruse di aggressione, talora e piu' comprensibilmente atteggiamenti di trascuratezza nei propri confronti, o, cosa molto peggiore, forme poco chiare di malafede, egoismo e altre nefandezze che posso senza incertezza definire poco plausibili e giacenti nel campo del ridicolo.

A quanto pare, non e' possibile lavare i panni sporchi in casa senza che qualcuno si senta coinvolto nell'operazione e malamente offeso.

Se talvolta si tratta di qui pro quo chiarificabili piuttosto facilmente, in altri ci si imbatte in vere e proprie prese di posizione pregiudiziali e vaneggianti che pretenderebbero di intervenire nelle alchimistiche operazioni che svolgo, per spiegarmi cosa pensare, cosa fare e come farlo.

Anche se la mia tentazione e' quella di ignorare in assoluto queste istanze, principalmente per l'eminentemente pratica questione relativa al gia' cospicuo ammontare di matasse da districare, mi rendo conto che sara' opportuno gestire la mia presenza in societa' in modo piu' elegante, non fosse altro per tenere i samaritani che preferiscono la spada alla lingua alla larga, ma principalmente per non attivare fallaci sensazioni di abbandono nei piu' sensibili.

Mi chiedo con curiosita' sincera se sia fatto comune a tutti coloro i quali, nel corso della propria vita, abbiano deciso di cambiare alcune basi portanti della propria Weltanschauung, il dover tirar di fioretto con cerchie di reazionari dalle idee confuse.

07 luglio, 2005

Preghiere

Porcupine Tree, un gruppo progressive, cioe' che fa canzoni che impressionano chi suona uno strumento, e che suonano impressionanti a chi non lo fa.

Ma con un uno spirito poetico... di una poesia secca e arida, tinta solo dal colore del tessuto musicale, ardito e intricato.

Questo pezzo mi colpisce. Eccolo qui, forse rende quell'idea peculiare di solitudine che sento attanagliarmi di questi giorni.

Qui c'e' un'estratto molto piu' corto e breve da scaricare.


Don't Hate Me

A light snow is falling on London

All sign of the living has gone
The train pulls into the stations
And no-one gets off and no-one gets on

Don't hate me
I'm not special like you
I'm tired and I'm so alone
Don't fight me
I know you'll never care
Can I call you on the telephone, now and then?

One light burns in a window
It guides all the shadows below
Inside the ghost of a parting
And no-one is left, just the cigarette smoke


02 luglio, 2005

Doppia illusione


La prima, dolciastra, la speranza; speranza che domani sara' diverso da oggi, che arriveranno le soluzioni, le risposte, che cessera' la menzogna e l'imitazione scimmiesca di una vita vera.
Dopotutto, domani e' sempre un altro giorno, e' stato fatto un altro passo, perche' pensare che non possa condurre ad una meta?
Non c'e' motivo di non crederlo, impera un orrido ottimismo fasullo quanto le quinte di cartapesta di un teatro con poche risorse.

La seconda, tremenda: credere infine di potere cedere al nulla, di rinunciare. Credere, farsi belli e forti, in un nichilismo ultraumano e devastante, annichilente, che nega la vita nella propria piu' intima essenza. E solo per franare e naufragare di fronte alla forza cieca e ottusa della necessita' di vivere, che pochi riescono a travalicare, pochissimi.

Incrociare le due esperienze, incrociare la pratica di una speranza in cui non si crede con un nichilismo in cui si crede ma che si sa fasullo, e ottenere una disarmante serata dove d'improvviso tutto diventa possibile, ogni estremo opposto ugualmente utile all'inutile: mutilarsi, bere fino alla morte, scrivere una poesia eccellente, sentire la motocicletta che ruggisce per le strade buie del sud di Milano, piangere qualche lacrima, ascoltare musica di valore.

Per scoprirsi alla fine ancora uguali a prima, sempre piu' uguali a se' stessi, sempre di piu'.

E nulla cambia, mai: eccomi, dunque, perche' il cielo che ammiro ogni notte non mi divora? Perche' non svanisco nelle albe che osservo senza motivo?

Non capisco.

27 maggio, 2005

Trappole per topi

Nell'album "Tallahasee" dei Mountain Goats, c'e' questo pezzo, si intitola "No children", il pezzo e' qui.
Suonato dal vivo, in un concerto, e' stato preceduto da qualche parola di spiegazione:

"It's a love song, it's about when two people love one another, but in the same time they come to the point they want to kill each other... what's love like then?"

Trovo il testo bellissimo:


No Children


I hope that our few remaining friends
Give up on trying to save us

I hope we come up with a failsafe plot
To piss off the dumb few that forgave us

I hope the fences we mended
Fall down beneath their own weight

And I hope we hang on past the last exit
I hope it's already too late

And I hope the junkyard a few blocks from here
Someday burns down

And I hope the rising black smoke carries me far away
And I never come back to this town

Again in my life
I hope I lie
And tell everyone you were a good wife
And I hope you die
I hope we both die

I hope I cut myself shaving tomorrow
I hope it bleeds all day long

Our friends say it's darkest before the sun rises
We're pretty sure they're all wrong

I hope it stays dark forever
I hope the worst isn't over

And I hope you blink before I do
Yeah I hope I never get sober

And I hope when you think of me years down the line
You can't find one good thing to say

And I'd hope that if I found the strength to walk out
You'd stay the hell out of my way

I am drowning
There is no sign of land
You are coming down with me
Hand in unlovable hand
And I hope you die
I hope we both die

16 febbraio, 2005

Urla di battaglia


Il vento da settentrione stanotte regala una luna perfetta, sembra assurdo che dopo le fatiche per ottenere niente dalla vita, basti una lama bianca nel cielo per riempire il cuore di emozioni scintillanti.

In questi giorni di smarrimento ritorna con forza l'evidenza dell'abisso tra cio' che addolora e cio' che le pene lenisce: e tanto piu'
la bellezza mi pare inafferrabile, e la gioia che la bellezza stessa mi regala.

Dovro' fare tesoro di sottili sussurri come questo, se dal viaggio prossimo venturo vorro' tornare con qualche risposta a domande che non ammettono ancora molto tempo prima di divenire insostenibili.

E dopo l'altra notte, sono ancora vivo, schivato dal maglio che ha spezzato i fianchi di una compagna di viaggio con la quale non divorero' ne' piu' asfalto, ne' condividero' piu' ricordi di estati di montagne di dolomia e scogli di granito rosso, e altro ancora.

Le sono sopravvissuto, amo credere che si sia fatta scudo contro quell'impatto feroce, lasciandomi a rimpiangerla e chiedermi perche' le cose siano andate cosi', e non altrimenti.

Morte! Morte! Non capisco se la si invochi per se' o la si auguri a nemici invisibili, quando si cavalca con il ruggito che assorda, nei viali vuoti di una citta' che ci ignora, il vento negli occhi pieni di lacrime di coraggio e di paura.