18 aprile, 2010

Irriverenza

Senz'altro sappiamo che che gli eventi non infilano una corrente monotona, ma tessono intrecciate teorie di colori.

Le categorie che usiamo per percepirli e collocarli in un quadro coerente, si rivelano inadeguate spesso nei modi piu' drammatici. Del resto, piegare a tratti umani degli accaduti di per se' ignoranti dell'uomo, e' ardito, e quando l'elasticita' della realta' si esaurisce, le categorie appaiono improvvisamente del tutto inappropriate, e il fenomeno esplode, attraversando trasversalmente, simile ad un getto di fiamma, cio' che era stato dato per assodato.

A questo punto, ci rendiamo conto della realta' della realta', ovvero, per meglio dire, della scarsezza e della pochezza delle nostre categorie.

Di conseguenza, diventa necessario rifondare le medesime, processo autonomo e probabilmente autoconservativo, fino a che il nuovo evento che aveva esulato dalla comprensibilita' non potra' essere benevolmente accolto nella mente.

La scossa che pero', fortunatamente, ci attraversa, in queste fasi, e' molto utile per comprendere la mera semplificazione che si e' operata, nel corso del tempo, nel processo di comprensione della realta'.

Pensiamo all'adolescenza e alla forza degli effetti della realta' sulla mente, che posti al confronto con gli attuali, appaiono di una rozza ma formidabile utilita'.

Pensiamo anche all'efficacia rimodellante, sulle categorie, di molte esperienze successive, che costringono a revisioni approfondite, in eta' piu' matura, di concetti come lealta', amicizia, famiglia.

Infine, la letargica maturita' ha di solito approntato una risposta a quasi tutte le evenienze.

Per questo e' piu' scossa da eventi dall'intensita' fuori scala, o che esulano ampiamente dalle categorie.

Nel corso di questi anni abbiamo osservato noi stessi e gli altri attraversare una trasformazione psicologica inevitabilmente diretta verso la stabilita'.

Anche quando la stabilita' e' consistita nell'accettazione dell'instabilita', un assurdo, ma tanta e' la forza della necessita' di catalogazione delle esperienze.

Il dodici o l'unidici di questo mese, e' morto un uomo che ha avuto nella nostra esistenza un ruolo che si sta rivelando, con i giorni che passano, di un'agghiacciante importanza pratica e teoretica.

Un uomo per il quale, e del quale, l'affetto si e' potuto toccare con mano solo dopo che e' stato chiuso in una bara.

I rapporti con il quale si sono dovuti ridiscutere in un attimo, quando si e' acceso in un lampo un mondo di relazioni ignote, di dettagli banali e umani mai venuti alla luce in tanti anni.

Un funerale che ha sparato nella notte un bengala, illuminando la vita di un uomo, passato in pochi istanti da elemento categorizzato, a persona, da dato di realta' accettato come scontato, a fenomeno esplosivo connotato in modi cui siamo soliti reagire in altra maniera.

Connotati che sono cioe' quelli di una persona amata, quando i precedenti erano, in sostanza, di uno strumento, di un fatto scontato, di una risorsa cui attingere senza dubbi.

E' pero' troppo tardi, adesso, per poter considerare quell'uomo per quello che le emozioni cieche lo affrescano adesso: una persona amata, un fine e non solo un mezzo.

Dario e' morto. Ma la sua morte e' per noi doppiamente, triplicemente dolorosa.

La prima categoria e' stata facilmente applicata: la perdita. Era e non e' piu', e non sara' piu', qui.

Il secondo ordine di dolore e' stato invece il primo evento a squassare la fondamenta delle nostre categorie. Era un uomo, al di la' delle ore spese nello studio. Esisteva oltre. Ma noi non ne abbiamo mai avuto esperienza, e questa frattura e' impossibile da risanare. Chi fosse quell'uomo al di la' della stanza con i fiori freschi, non sappiamo. Non abbiamo potuto rifondare la sua conoscenza in due ore di funerale e tre parole con parenti stretti di cui ignoravamo del tutto l'esistenza.
Apprendere quindi che non potevamo pensare a Dario come una persona autentica, come le altre, ma solo come ad un uomo a meta', conosciuto solo nei limiti del suo lavoro e delle mie necessita', e' stato tremendo.

Il terzo ordine di dolore affiora selvaggiamente con i giorni che passano, plumbei. Rappresenta l'intero carico di umanita', esperienze, scambi, addirittura realta', che esistevano esclusivamente fra noi, almeno in certe modalita'. Fuori dallo studio andavano ad assumere altri connotati, ora utili, ora drammatici, ora divertenti.
Ma nello studio c'era un microcosmo fertile e ricchissimo, malamente o mai categorizzato a pieno, che e' diventato oggetto di conoscenza quando ha smesso di poter rimanere vitale e dinamico.
Dario e' morto, e con lui la possibilita' di vita propria di questo insieme di pensieri, emozioni, riflessioni: non bastiamo da soli a tenerlo acceso, perche', e solo adesso e' possibile cogliere questo dato, erano necessarie due vite per farne cosa viva, la sua e la nostra.
La percezione inevitabile, poi, che questo rapporto, questa complessa infrastruttura della nostra vita non esista completamente al di fuori del nostro rapporto con Dario, e' agghiacciante. Dario e' morto, e la sua morte e' coincisa con quella di un progetto, di una composizione dinamica di emozioni e ragionamenti e modi di vedere che era unica e non riproducibile.

Ora, quindi, quando guardo alla nostra vita, e penso a come aggiungere un nuovo fiore alla nostra composizione personale, mi accorgo che questa composizione e' stata in realta' creata negli anni spesi nello studio con lui, e mi rendo conto che non esiste piu' la possibilita' di farlo: i fiori sono morti, tutti.

Ed ecco, quindi: Dario e' mancato, e la sua morte ha sfracellato molte categorie che, fino al tragico giorno, erano state in grado di farci comprendere.

Ora non capiamo piu', e dobbiamo pero' continuare a capire, perche' la morte di quell'uomo non ha messo fine alla Guerra Eterna. Forse con lui siamo stati ad un passo dal vincerla, trionfalmente anche. Di certo grazie alla sua grandezza abbiamo potuto mettere a segno vittorie clamorose, e moltissime.

Ora siamo se possibile, e si', e' possibile, e' sempre possibile, ulteriormente soli.

Quindi, Dario, grazie per aver avuto, anche sparendo da questa vita, il ruolo non da poco di chi riesce a farci ripensare noi stessi con critica passione, e con quel rigore e onesta' intellettuali che entrambi, ne sono certo, ammiravamo profondamente gli uni nell'altro.

E, a parte questo, quanto affetto e quanta simpatia, non ci potremo mai piu' scambiare!

Ma arrivera' anche il mio turno, e ci rideremo sopra, ma niente birra da bere insieme: ti fa addormentare.

Questo, almeno, lo sapevo, di te.