26 marzo, 2006

Beltane

E siamo arrivati al giro di boa, all'equinozio, e l'abbiamo superato: sono sopravvissuto a me stesso e alla Guerra Eterna anche quest'inverno. Si avvicina Beltane.

Non posso negare sia stato un pessimo inverno.

Mi piacerebbe avere emozioni forti e sanguigne da scaricare qui, nero su bianco, incastrando sostantivi in armoniosi periodi che si avviticchino in un crescendo impetuoso.

Meriterebbe, questo pessimo inverno, l'esplosione di una scottante rabbia, di un cocente sconforto, di una passione cupa di qualche tipo.

E' stato infatti versato del sangue, si sono combattute battaglie, si e' sofferto davvero molto.

Invece, mio malgrado, ho deciso di scrivere un post dopo un lungo silenzio senza effettivamente avere quella fiamma che in genere tende ad animare, almeno nei propositi, le parole che appaiono in queste pagine.

Una scelta necessaria, perche' necessario diventa sancire quella che potremmo definire, con un accenno di ironia, l'attuale guerra fredda.

Non sento piu' le pallottole fischiare, non striscio nel fango con uno zaino carico e la luce della bataglia non si riflette nei miei occhi, non tuonano obici lontani.

Eppure la battaglia e' sempre in corso, silenziosa, viscida, solitaria, soprattutto silenziosa.

Un modo nuovo di soffrire, senza i fasti bellici, senza il doloroso squillare dei fischietti che mandano alla carica.

Nel silenzio che dura giorni, nella solitudine diventata ubiqua, perenne, si e' stabilito un nuovo tipo di scontro, fatto di attese e di imboscate, di diaframmi sottilissimi tra la piu' turpe delle mutilazioni e una vittoria di Pirro che prepara la giornata successiva, che sara' ancora attese, agguati, furtivita'.

Emozioni che assalgono dal buio, che mi scaraventano da un attimo di calma apparente al successivo istante di dolore, ad un'irrequita ricerca senza meta frustrante e psicotica.

In risposta, una tenace resistenza alla non-vita, una pacata e paziente attesa del momento in cui a mia volta assestare un affondo.

E siamo arrivati al giro di boa, all'equinozio, e l'abbiamo superato: sono sopravvissuto a me stesso e alla Guerra Eterna anche quest'inverno.

Non posso negare sia stato un pessimo inverno.

Mi piacerebbe avere emozioni forti e sanguigne da scaricare qui, nero su bianco, incastrando sostantivi in armoniosi periodi che si avviticchino in un crescendo impetuoso.

Meriterebbe, questo pessimo inverno, l'esplosione di una scottante rabbia, di un cocente sconforto, di una passione cupa di qualche tipo.

E' stato infatti versato del sangue, si sono combattute battaglie, si e' sofferto davvero molto.

Invece, mio malgrado, ho deciso di scrivere un post dopo un lungo silenzio senza effettivamente avere quella fiamma che in genere tende ad animare, almeno nei propositi, le parole che appaiono in queste pagine.

Una scelta necessaria, perche' necessario diventa sancire quella che potremmo definire, con un accenno di ironia, l'attuale guerra fredda.

Non sento piu' le pallottole fischiare, non striscio nel fango con uno zaino carico e la luce della battaglia non si riflette nei miei occhi, non tuonano obici lontani.

Eppure la battaglia e' sempre in corso, silenziosa, viscida, solitaria, soprattutto silenziosa.

Un modo nuovo di soffrire, senza i fasti bellici, senza il doloroso squillare dei fischietti che mandano alla carica.

Nel silenzio che dura giorni, nella solitudine diventata ubiqua, perenne, si e' stabilito un nuovo tipo di scontro, fatto di attese e di imboscate, di diaframmi sottilissimi tra la piu' turpe delle mutilazioni e una vittoria di Pirro che prepara la giornata successiva, che sara' ancora attese, agguati, furtivita'.

Emozioni che assalgono dal buio, che mi scaraventano da un attimo di calma apparente al successivo istante di dolore, ad un'irrequieta ricerca senza meta frustrante e psicotica.

In risposta, una tenace resistenza alla non-vita, una pacata e paziente attesa del momento in cui a mia volta assestare un affondo.

La guerra fredda: tutto avviene, ma in silenzio.

Oggi come altri giorni ho navigato per le ore di veglia, all'erta, sul chi vive, apparentemente tranquillo ma vigile, preoccupato. Sorridente alla vista, ma disperato. Fiducioso e fatalmente rassegnato, vivo e morto.

Sinceramente, sto combattendo i fantasmi. Probabilmente, dai giorni delle battaglie campali non e' cambiato nulla: la Guerra Eterna non e' certo vinta o conclusa.

Ma devo ammettere che questa nuovo, sotterraneo tormento, cui non posso rispondere urlando, e' piu' doloroso di molte misure, perche' nel tentativo di ergermi al di sopra della Guerra, per vincere, ho per ora solo scoperto che la Guerra si e' innalzata al mio livello, seguendomi.

Cercando di superare il confronto scandito dallo ius belli, ho innescato una guerra di diplomazia.

E quando sono ridisceso con nuove cicatrici alla ricerca di un duello, non ho piu' trovato il vecchio nemico, e mi e' toccato risalire, battuto e tumefatto, al silenzio solitario della guerra fredda.

Devo ammettere che franco la costante e strenua resistenza, non ho ancora nessuna strategia valida in questa guerra fredda che per primo ho avviato.

Perche' se e' vero che vivere una vita avvelenata come lo e' la mia e' faticoso e doloroso, e' anche peggio vedersi allo specchio come un uomo alla merce' delle ore che passano, piuttosto che come un guerriero che si avventa a qualsiasi costo sul nemico per annichilirlo e VINCERE.

Per questo, sto soffrendo, e purtroppo e' vicino un punto di rottura, l'ennesimo: o trovero' mezzi efficaci per combattere questa nuova guerra, oppure saro' costretto ad arretrare.

La novita', questa volta, e' che ho gia' le spalle al muro, gli assi calati, il jolly sul tavolo: non ho altri trucchi ne' altre magie.

Quindi, o faro' mia la vita, o faro' mia la morte.