25 marzo, 2011

Yannick!

Il 17 febbraio passato non ho passato la migliore delle serate. Ho scritto queste parole, nate come mail ad un amico, senza sapere cosa avrei scritto. Mi sono piaciute al punto che ho deciso di metterle anche qui.

Nell'amore e nella memoria del mio amico Yannick, che spero ardentemente di rivedere, quando sara' il momento.

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Ciao Andrea...

Ho voglia di scrivere un po'.
Una volta, era il 2002 credo. Ero al lavoro, e mi ha chiamato un collega della ditta che avevo appena lasciato. Si chiamava Yannick Eysselink.

Aveva avuto una vita tremenda. Da piccolo, penso avesse sugli otto anni, con sua madre in macchina, ebbe un incidente. Sua madre mori' e lui rimase sfigurato. Gli rimisero insieme la faccia prendendo pezzi di cartilagine da gomito, ginocchio... orecchie... un macello. In effetti, aveva un viso improbabile, ma con le donne non aveva problemi, e son cose che non capiro' mai, avvolto come sono dall'epoca delle apparenze. Del resto, era un genio: scrittore, drammaturgo, aveva una padronanza della lingua (aveva la doppia cittadinanza belga e italiana) che non ho mai piu' trovato in nessuno: poteva giocare con le parole come fa Rodrigo con le palle da biliardo. Aveva un cuore immenso, una persona splendida. Era poeta, era scultore. Era un buon grafico ed un bravo programmatore. Una di quelle persone che se non si conoscono... le descrizioni rimangono poco piu' che lettera morta.

Come pochi, aveva anche la passione per quel genere di poesia che io reputo la piu' sincera e piu' difficile: quella che sta nelle cose che abbiamo intorno. Una volta mi disse, forse era il 2001, dopo un temporale primaverile, i raggi del sole che tagliavano l'aria tinta di vaniglia, fermandosi mentre passavamo per piazza Duomo, io alla ricerca di una birra, lui non ricordo: "Matteo, guarda che splendore questo cielo, guardalo, perche' a Milano non si vede mai un cielo cosi', e' un capolavoro, fermati con me e guardiamolo". Ancora adesso ce l'ho davanti agli occhi quel cielo, come una fotografia, un capolavoro di luce e bellezza sulla citta' scintillante della pioggia fresca. Un'altra volta, usciti dal lavoro (era sbronzo) c'era questa ragazza, una cosi', come mille milioni di altre ragazze, che stava sotto il portico ad aspettare. Non era ne' particolarmente bella ne' altro, aveva pero' un'aria affranta e triste. Ma Yannick ci vide qualcosa, e dopo un primo sguardo, si fermo' di botto, le appoggio' delicatamente un braccio al gomito e disse solo, e letteralmente, me lo ricordo: "Non temere: lui arrivera'". Si giro' e riparti' a spron battuto con me, attonito, a tallonarlo. Forse la ragazza stava davvero molcendosi il cuore perche' il suo innamorato stava tardando, o forse era rimasta banalmente divertita: io, dal sorriso improvvisamente sollevato che fece, grata, lo ricordo bene, penso fosse vera la prima ipotesi.

Era cosi', un genio, un santo e un'anima maledetta, anche. Lo conobbi nel 1999 tardo, quando iniziammo a lavorare insieme, e lui stava ricominciando a bere forte. Era etilista, aveva smesso, e proprio in quel periodo ricomincio' a bere. Tempo il 2002 della telefonata con cui ho iniziato questo racconto, era ricaduto nel bere completamente.

Viveva ad Ispra, sul lago Maggiore, con due cani che amava molto, in un enorme casa tra freschi pini ed aceri, ombrosi, che pero' non vidi mai permeata della strana vitalita' di Yannick: quando passai di la' aveva gia' l'aria di un posto lasciato al bosco da un secolo. Andava pazzo anche per suo nipote, un bambinetto, il figlio di sua sorella, la quale era una persona estremamente sgradevole che lo disprezzava, o comunque non l'amava.

Come altre persone cui la vita non ha riservato esattamente un trattamento di favore, se non nei doni innati, sembrava sempre allegro, sobrio o meno che fosse: non si lasciava mai sfuggire la possibilita' di infilare una battuta che lasciava di solito il piacere, nell'ascoltatore, di rigirarla linguisticamente e semanticamente tra le mani della mente per un paio di minuti almeno, per coglierne tutte le sfaccettature: era in grado di trasformare le parole come un caleidoscopio la luce.

Mi telefono' credo fosse mattino, e mi disse che voleva ammazzarsi. Io all'epoca ero da "soli" 8 anni circa in analisi e farmaci, e devo dire che le cose non mi buttavano poi cosi' male, o almeno lo posso dire ora. Non fu l'ultima volta che mi chiamo' con quelle idee, e io cercai di calmarlo, in primis, e poi di prospettargli qualche via d'uscita. Sai, all'epoca ero convinto che una psicoterapia ben fatta poteva salvare chiunque. Alla fine di quelle telefonate mi ringraziava e mi diceva che non c'era niente da fare, ma grazie lo stesso... alla fine probabilmente un po' si calmava, ed essendo uno che di difficolta' ne aveva affrontate a bastimenti, bastava forse fargli superare quei sette minuti di dolore puro che, anche senza le mie vaticinanti prognosi positive, sarebbe tornato comunque, se possiamo dire cosi', in se', anche se in se' e' sempre rimasto, per quel che ne posso dire io. Durante la sua vita Yan ne aveva viste di ogni. Trascorse anche tre anni come clochard in giro per l'Europa.

Una mattina, non molto tempo dopo, mi arrivo' una telefonata da un ex collega di entrambi, che mi diceva che Yan era morto d'infarto, non si sapeva bene quando. Il giorno dopo presi la motocicletta e cercai di capire che cosa fosse successo, visto che nessuno sembrava sapere niente. Cosi', era estate, partii per Ispra, e spesi una giornata fra interviste a passanti e ai carabinieri... fu in quell'occasione che vidi la sua casa... fino ad arrivare sul tardo pomeriggio della sorella, che abitava grossomodo in zona. Una persona che posso ricordare solo con tristezza, e un po' di disgusto.

Tirate le somme, ne sapeva meno di me e gliene interessava molto meno. Quello che potei sapere tra forze di polizia e indagini meno ortodosse, e' che mori' di infarto, da solo, davanti al frigorifero in cucina, mentre riassettava perche' doveva andare trovarlo una sua vecchia fiamma. Il funerale fu celebrato quasi un anno dopo, non ho mai capito esattamente perche'. Era una famiglia strana, o almeno era quello che di una famiglia, ricca e blasonata, restava.

Di episodi intercorrenti, durante la crescita esponenziale del suo bere, quando lavoravamo insieme, potrei raccontarne innumerevoli, ma una faccenda piu' di tutte mi e' sempre rimasta impressa in tutti questi anni. Fu durante quelle telefonate, durante le quali cercavo di consolarlo e deviare le sue intenzioni suicide. Piu' di una volta, quando gli ventilavo concretamente eventuali vie per uscire dall'alcolismo, o almeno cercare di star meglio, molto spesso iniziava a canzonarmi, blandamente e senza acrimonia, a modo suo, tra il serio e il faceto, districare l'uno dall'altro era impossibile. Mi sembrava che mi trattasse come se fossi un innocente giovinetto che cerca di spiegare ad un consumato assassino e mercenario come fare ad ammazzar mosche. Dal canto mio, pensavo che la sua penosa e dolorosa situazione gli impedisse di vedere le vie di uscita che pure di certo c'erano, magari non quelle che gli proponevo, ma pure fossero state altre, ci dovevano senz'altro essere. All'epoca, in effetti, mi sentivo la prova vivente della mia tesi.

Ad oggi sono passati quasi o piu' di dieci anni, e capisco molto meglio Yannick. Adesso anche io riderei bonariamente in faccia a qualcuno che mi facesse quel genere di discorso. Yannick, penso ora, non sorrideva di me perche' pensava io dicessi cose non vere, ma perche' non capivo quello che mi pare vero ora: cioe' che il gioco a volte non vale la candela.

Non so se Yannick avesse ragione o meno, tra l'altro mori' di morte naturale. Di certo c'e' che quello che fino ad oggi mi e' sempre sembrato una sorta di errore di Yan, quello di non cercare piu' un aiuto terapeutico, adesso mi pare l'esercizio della decisione che scaturisce in parte dalla forte e netta sensazione di averne abbastanza. Con una precisazione, pero'.

Una volta arrivo' in ufficio ubriaco fradicio, e io e Frantz, un collega, lo mettemmo in macchina al volo e lo portammo dove abitavo. In piazza Cinque Giornate dovemmo rincorrerlo per strada perche' era scappato giu' dalla macchina... non sapevo se ridere o piangere. Vivevo con tre ragazze, i quei giorni, ad una delle quali, Letizia, una siciliana dolcissima, spiegai per sommi capi la dinamica della faccenda. Piazzai Yan a smaltire i fumi sul mio letto e mi raccomandai con Letizia di chiamarmi per qualsiasi motivo al mondo, spiegandole reiteratamente che non la lasciavo con un ubriacone assassino e che non correva pericoli. Fu coraggiosa, ma ero certo di quel che le dicevo.

Alla fine della giornata lavorativa tornai a casa, da Letizia non avevo ricevuto chiamate d'aiuto o simili, ed un controllo all'ora di pranzo mi aveva rassicurato sul fatto che Yannick stesse ancora riposando.
T
rovai Letizia incantata da Yannick. Questi mi spiego' che si era svegliato, con la vescica a mille, e che aveva svuotato una bottiglia d'acqua e ci aveva orinato dentro per la vergogna di chiedere dove fosse il bagno. Poi era uscito dalla mia camera e aveva fatto conoscenza con la mia coinquilina. Letizia era all'oscuro, e Yan mi prese da parte e si raccomando' caldamente di sbarazzarmi dell'oggetto malefico ripieno del liquido rifiuto color del sole, e di non farlo sapere a lei. Mi ringrazio' e tutto quanto, scappo' via, e la cosa si chiuse cosi'.

Io penso che Yannick fosse stufo anche di faccende come questa. Io non lo giudicai male per nessuna delle cose che aveva fatto quel giorno, ne' lo fece Letizia che anzi non smise di enumerare le virtu' di Yan (era una ragazza sensibile e intelligente).

Ma c'era qualcuno che non perdonava, e quel qualcuno era Yan stesso. E adesso capisco che quel qualcuno, per quanto mi riguarda, di questi tempi, sono in effetti io, non molto diversamente.

Penso che Dio chiamando Yan a se', gli abbia fatto un grandissimo favore. Aveva, se non ricordo male, sui trentasette o trentacinque anni quando mori'. Penso che nessuno potesse piu' aiutarlo, non perche' fosse ontologicamente impossibile, ma perche' era al punto in cui essere aiutati e' come prendersi in giro da soli, perche' si crede, si sa, che ci si ritrovera' ancora e ancora con qualcuno che non pensa niente di male di te, anche se stai orinando in una bottiglia perche' ti vergogni di te stesso e non hai il coraggio di chiedere dove sia il bagno.

Ci sono persone, io credo, come Yannick, e come me, in modo un po' diverso, che dopo averlo piu' o meno metaforicamente fatto infinite volte, arrivano al punto di preferire di pensare alla morte o comunque di tirare a campare, piuttosto che chiedere ancora una volta dove si trovi questa volta l'ennesimo, maledetto bagno.

So Google, per molti versi l'autentico sepolcro della memoria storica dei nostri tempi, di Yannick, ingiustamente, rimane solo questo:

http://www.varesenews.it/articoli/2001/marzo/tempo-libero/16-3teatroepoesia.htm


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Un caro amico di entrambi mi ha segnalato che con una ricerca piu' appropriata, si puo' trovare di Yan molto di piu':  qui.

8 commenti:

Unknown ha detto...

ora tu hai incantato qualcuno.

Paola Cenebrontola ha detto...

Ho conosciuto Yannick nel '98, era davvero una persona affascinante.
Sapere della sua morte mi ha molto rattristata. Anche perché pur avendone avuta la possibilità non ho approfondito la sua conosc e adesso mi rendo conto che le persone vanno "vissute" quando sono fra di noi.
Paoletta

Unknown ha detto...

J'ai connu Yannick en Angleterre quand j'avais 15 ans. Par la suite , il est venu passer les fêtes de Noël chez moi en France. C'était un être sensible, un artiste et je suis bouleversée d'apprendre sa disparition.
"Not Like this..."
Sophie

Letizia 77 ha detto...

Non ho parole per descrivere l'emozione di leggere il suo ricordo.
Con affetto,
Letizia 77

Unknown ha detto...

Ho letto d'un fiato le tue righe. Conoscevo Nick, così lo chiamavamo a scuola, dalle Elementari e ho vissuto con lui l'orrore di quel periodo dell'incidente. Uscito dall'ospedale il padre, che era separato dalla splendida madre (se Nick era quello che era lo doveva a sua madre e i suoi splendidi, benché rigidi, nonni materni con i quali viveva nella casa di Ispra) decise di non sradicarlo dall'Italia per portarlo con se a Bruxelles dove viveva e lavorava: così, secondo molti commettendo un grave errore, ci chiese se fossimo disposti ad ospitarlo a casa nostra per tutto l'anno (avremmo frequentato la 5ª elementare). Così fu un magnifico periodo, anche se complicato, perché chi ha vissuto a stretto contatto con Nick sa come fosse, o meglio, si divertisse a renderti la vita impossibile a volte. Di quel periodo mi rimane ancora, e lo conservo gelosamente, un quaderno di suoi disegni e scritti ironico-deliranti che mi consegnò alla chiusura dell'anno scolastico prima di partire con suo padre. Dall'anno successivo andrà a vivere con sua sorella Vania con i nonni a Ispra.
Vissi tutto il resto della scuola in sua compagnia: Medie e Liceo furono anni pieni di avventure vissute con lui. Fu con l'università che iniziò un lento distacco per via delle differenti strade intraprese. Mia puntualmente ci si vedeva quelle 4/5 volte all'anno che però non mi davano la possibilità di aiutarlo ad uscire dal baratro in cui aveva già iniziato a cadere.
Effettivamente la vita non l'ha aiutato anche se lui aveva la capacità, soprattutto da ragazzo, di trasformare le difficoltà in opportunità.
Un padre etilista, una separazione difficile con la madre che purtroppo non lesinava duri commenti sull'ex marito; il drammatico incidente di cui portava i segni fisici (e se non l'hai conosciuto prima dell'incidente non si può immaginare quanto lo avesse cambiato-era un bambino bellissimo!) e psichici. E qui vorrei spendere due parole di giustificazione per la sorella Vania. Effettivamente era completamente sconnessa dalla famiglia e con evidenti e irrisolti problemi psicologici mai affrontati e risolti. Ma chi non li avrebbe: era anche lei a bordo con Nick e sua madre di ritorno dalla Toscana. Quando dall'auto del disgraziato che viaggiava davanti a loro cade il tavolo da ping-pong che era stato lagato con una semplice corda senza neanche l'utilizzo del portapacchi!!! Il tavolo centra la loro auto decapitando la madre, prendendo in pieno viso Yannick che era seduto davanti. Vania, che dormiva sdraiata dietro (ancora non c'erano gli obblighi di seggiolini auto), si risveglia e la prima immagine che vede è la testa della madre che nell'impatto era volata sul sedile posteriore!!!! A questo aggiungete la separazione dal fratello (da bambini erano legatissimi) quando il padre decide di lasciare Nick a casa nostra ma di portarsi a Bruxelles Vania, il fatto che non ha mai avuto un supporto psicologico: è facile fare 2+2!!
Purtroppo poi l'ho perso di vista completamente salvo ritrovarci negli ultimi anni quando pareva aver dato una sterzata alla sua vita grazie anche alla sua compagna.
Erano molti anni che non pensavo a Yannick e mi è tornato in mente in questi giorni perché sarebbe stato, il 27, il suo cinquantesimo compleanno. Quindi ti ringrazio perché mi ha dato l'occasione di ripensare alla fortuna che ho avuto, anche se per un periodo non abbastanza lungo, ad avere una persona come lui nella mia vita.
David

Anonimo ha detto...

I got struck with sadness when I read what happened to Yannick. He was a bright and clever boy. Multilingual, cultured and with a developed intellect. He valued friendship above everything.
I would disagree with what is mentioned regarding his sister. She has had her hard time; in fact she was in that terrible car accident when Yannick was in his teens (was during a summer when he was 14 or 15). She must have struggled and no one should blame her.
Yannick indeed had a lot of charm. A sensuality of the like of Mick Jagger's. Girls could be fascinated by his charm. At least, I happened to be, however he seemed unwilling to engage in anything. He was more willing to test his ability to seduce than developing any sort of relationship.
I am truly sad to know what happened and can't believe I read this a decade after the facts. How come no one from Scuola Europea or CCR informed his former classmates etc
Thank you in any case for letting us know. Best, M.

Unknown ha detto...

Ho lavorato con Yannick durante l'estate di tanti anni fa, forse era il 1991, non me lo ricordo. Non ho mai dimenticato il suo sorriso, la battuta pronta. Penso di non aver più' avuto un collega di lavoro così' sensibile ed intelligente. Stasera pensavo di poter trovare informazioni su di lui. Le ho trovate ma ora non riesco a dormire. Conservo ancora un libro di Stefano Benni che mi aveva donato.

Antonella

Unknown ha detto...

Sono il nipote, Sergio, se vuoi contattami. Su facebook ho una F tra nome e cognome.