22 ottobre, 2006

Inferni 2/3

Tra le esperienze indescrivibili che devono aver provato gli esploratori sbarcati sulla Luna c'e' senza dubbio la poco impressionante, a parole, percezione di un orizzonte "piu' vicino".

Questo concetto, che ad un'analisi frettolosa puo' passare in secondo piano rispetto alle altre mirabolanti conquiste del famigerato sbarco sul satellite, e' in realta' forse il piu' impressionante in assoluto, a ben pensare.

Orizzonte piu' vicino significa vedere la fine del mondo, o meglio la sua curva, il suo sfuggirci all'occhio, molto piu' marcatamente, distintamente.

Potremmo, lassu', vedere che dopotutto davanti a noi non c'e' una pianura infinita ma un semplice segmento, con un inizio, che e' sempre molto, troppo lontano alle nostre spalle, e una fine.

Gia', quei poveracci hanno visto la fine del segmento. Non hanno avuto la fortuna di poter credere che fosse piu' o meno indefinibile, in lunghezza, come noi quaggiu', non piu' almeno, da quella volta.

Quando la portata della finitezza si affaccia alla coscienza, tremano le gambe e battono i denti.

Leggo spesso in scritti per idioti, pecore, e pressapochisti della filosofia fatta in casa con la ricetta della zia, che non si e' in grado di cogliere l'infinito in senso lato. E sogghigno: quello che non si riesce a cogliere, e soprattutto accettare, e' quanto tutto sia dannatamente finito.

La vita, come il segmento che ci separa dall'orizzonte, ha una finitezza precisa, chiara, manifesta. Sulla Luna deve apparire in un evidenza da atterrire: non si puo' camminare per sempre senza trovarsi al punto di partenza.

Uno degli Inferni e' probabilmente proprio la Luna, a prescindere, ma il terzo, il peggiore, e' proprio trovarsi, dopo un lungo viaggio, esattamente dove si e' partiti, ma senza aver mai avuto nemmeno la piu' vaga intenzione di tornare a casa, che illuminerebbe tutto di un'altra luce.

Quindi ancora l'Uroboro, il famigerato serpente che si morde la coda: ma questa volta vorrei il caro Nietszche dell'eterno ritorno silenzioso e non additante la mia paura quando piu' che superuomo mi sento atterrito, e perche' no, assolutamente disperato, senza scampoli di salvezza in vista davanti al ripetersi infinito, nella finitezza del mio orizzonte sempre piu' curvo, delle stesse piccole, terrificanti catastrofi.

Specie quando, per aggiustare tutto, si sono tagliate le ultime strade che avrebbero forse portato un briciolo di serenita' a rompere il monotono terrore del martirio.

09 ottobre, 2006

Inferni

Ho scoperto che non c'e' limite al cambiamento, e che il cambiamento puo' portare a situazioni inconsistenti, destrutturate e insensate.

Ogni giorno che inizia e finisce porta con se' in ogni caso esperienze nuove. Non credevo di riuscire a rimanere inalterato come se le menzionate esperienze non esistessero. Questo e' stato il mio piu' grande cambiamento. Sono diventato qualcosa nel quale tutto cio' che accade non lascia traccia.

Piu' precisamente, nella mia cristallizzazione, ripercorro ricorsivamente schemi di pensiero e ricordi di vissuti piu' o meno recenti, incessantemente, ossessivamente, senza che cio' che mi dicono o che provo giorno per giorno influenzi questo inalterabile eterno ritorno sui propri passi.

Anche scrivere qui e' quasi impossibile, ingabbiato come sono in uno schema che si ripete in continuazione. Essere riuscito a venire qua a scrivere due righe e' gia' un miracolo, che naturalmente domani sara' dilavato dalla pioggia triste di vecchi ricordi di momenti sereni o felici che ripercorrero' per l'ennesima volta.

Ho infelicemente chiuso il mondo intero fuori dalla porta, e con mio sommo stupore, nel mio autismo, sono statico.

Onestamente, credevo che sarei progressivamente impazzito o precipitato in una disperazione insopportabile.

Ma a quanto pare non c'e' limite al cambiamento, e cosi' mi affaccio al mondo ignorandolo e riesco ad andare avanti come niente fosse, e temo potrebbe essere cosi' per un tempo indefinito.

E' come vivere ed essere morto: la migliore definizione di questa condizione e' inferno in terra.

07 luglio, 2006

Rompiamo il silenzio

E' tempo di dire qualcosa di nuovo.

Troppo tempo sta trascorrendo mentre, acquattato nella mia stamberga, sbircio tra le fessure della tapparella la stagione che avanza.

Alcune cose sono cambiate: in primis sono in resa totale, il soldato si e' arreso, fate di me cio' che volete. Da questo nuovo atteggiamento non e' nata solo una rinuncia alla lotta, che e' passata anche per la violenza autentica, di cui il mio corpo porta tutte le tracce visibili ad occhio nudo.

Non e' nata solo una remittenza dell'atteggiamento bellicoso che ha contraddistinto la Guerra Eterna.

E' nata anche una sorta di sottomissione agli eventi.

Dall'abbandono delle armi, per motivi di opportunita' e disperazione, non e' derivata quindi una fase costruttiva, come a rimediare con una lenta e volonterosa ricostruzione ai vortici di fiamma che avvolsero Dresda.

Piuttosto e' rimasto uno stuporoso e immoto stupore della mancanza di un'arma tra le mani con cui sparare.

Per questo non ho avuto piu' da scrivere qui, perche' senz'armi non si combatte nemmeno una battaglia, tantomeno una Guerra Eterna.

Circondato come sono dalle rovine dell'arreso, del perdente, pur tuttavia resa non sara'.

Come sempre... la resa e' la Morte.

Ho tre opzioni davanti: la prima, piu' scontata, riprendere la distruttiva Guerra Eterna.

La seconda, affascinante, non darsi al nemico e morire da soldato, un calibro 12 che proietti questa mente malfunzionante ad imbrattare i soffitti o il cielo, da buon eroe romantico.

La terza, combattere in modo nuovo, inedito, ancora da capire. Solo intuizioni, di una guerriglia nuova, fatta di agguati e ritirate, fatta di piccole azioni e piccole conquiste, prive delle glorie di una vittoria campale, ma ricche di guadagni nell'osservare il fronte nemico arretrare.

Solo intuizioni, per ora, e il tempo e' nemico. Che io riesca a capire questa terza opzione prima di abbracciare una delle altre due ipotesi, per non soccombere!

Vorrei vedere lame scorrere silenziose quanto il sangue che le segue lungo la mia pelle provata, vorrei vedere il dolore negli occhi di una vittima, vorrei ergermi disperatamente eroico sulle rovine della mia vita... lenirebbe il dolore, smentirebbe le lacrime che spargo la notte, sarei un buon soldato.

Ma sarebbe il prodromo della Morte: e non voglio la Morte, ancora.

Mentirei lodandone i pregi... la temo. Non ho vergogna di ammetterlo.

Qui e' necessario forse il piu' estremo atto di coraggio della Guerra Eterna: smettere di combattere non per arrendersi, non per morire, ma per riuscire a smentire la necessita' stessa della Guerra, ossia per vivere.

Smettere di combattere e non soccombere mentre l'onnipresente nemico pur continua ad attaccare.

Ora purtroppo c'e' un solo alleato. E' giunto infine il momento che vede un unico protagonista in grado di decidere le mie sorti: con infinita paura, posso dire che quell'uno e' me stesso, solo, isolato, debole ma coraggioso, davanti alla Guerra.

09 aprile, 2006

Urlano!

Anche in tempi di apparente bonaccia, anche sul mare immoto agli occhi di chi pesca tranquillo da una barca, sott'acqua la Guerra Fredda fa incrociare feroci sottomarini in attesa, non di prede, ma della possibilita' di predare.

Allo stesso modo mi sento ora: sotto una vigile attesa, furibondo non si ferma mai l'istinto che chiama alla Guerra Eterna, fucile pronto e ben oliato, quasi consunto dal continuo strofinio di mani che tremano, che bramano di far ritrovare quel famigliare peso del calcio sulla spalla, e il tonare del colpo.

Ma fuori, solo calma.

E sopra il cielo nero delle notti di luna, poco al di la' del confine dell'occhio e dell'orecchio, in alto, le Fiere folli volano in cerchi senza senso con gli artigli insaguinati, e urlano, urlano, urlano!


26 marzo, 2006

Beltane

E siamo arrivati al giro di boa, all'equinozio, e l'abbiamo superato: sono sopravvissuto a me stesso e alla Guerra Eterna anche quest'inverno. Si avvicina Beltane.

Non posso negare sia stato un pessimo inverno.

Mi piacerebbe avere emozioni forti e sanguigne da scaricare qui, nero su bianco, incastrando sostantivi in armoniosi periodi che si avviticchino in un crescendo impetuoso.

Meriterebbe, questo pessimo inverno, l'esplosione di una scottante rabbia, di un cocente sconforto, di una passione cupa di qualche tipo.

E' stato infatti versato del sangue, si sono combattute battaglie, si e' sofferto davvero molto.

Invece, mio malgrado, ho deciso di scrivere un post dopo un lungo silenzio senza effettivamente avere quella fiamma che in genere tende ad animare, almeno nei propositi, le parole che appaiono in queste pagine.

Una scelta necessaria, perche' necessario diventa sancire quella che potremmo definire, con un accenno di ironia, l'attuale guerra fredda.

Non sento piu' le pallottole fischiare, non striscio nel fango con uno zaino carico e la luce della bataglia non si riflette nei miei occhi, non tuonano obici lontani.

Eppure la battaglia e' sempre in corso, silenziosa, viscida, solitaria, soprattutto silenziosa.

Un modo nuovo di soffrire, senza i fasti bellici, senza il doloroso squillare dei fischietti che mandano alla carica.

Nel silenzio che dura giorni, nella solitudine diventata ubiqua, perenne, si e' stabilito un nuovo tipo di scontro, fatto di attese e di imboscate, di diaframmi sottilissimi tra la piu' turpe delle mutilazioni e una vittoria di Pirro che prepara la giornata successiva, che sara' ancora attese, agguati, furtivita'.

Emozioni che assalgono dal buio, che mi scaraventano da un attimo di calma apparente al successivo istante di dolore, ad un'irrequita ricerca senza meta frustrante e psicotica.

In risposta, una tenace resistenza alla non-vita, una pacata e paziente attesa del momento in cui a mia volta assestare un affondo.

E siamo arrivati al giro di boa, all'equinozio, e l'abbiamo superato: sono sopravvissuto a me stesso e alla Guerra Eterna anche quest'inverno.

Non posso negare sia stato un pessimo inverno.

Mi piacerebbe avere emozioni forti e sanguigne da scaricare qui, nero su bianco, incastrando sostantivi in armoniosi periodi che si avviticchino in un crescendo impetuoso.

Meriterebbe, questo pessimo inverno, l'esplosione di una scottante rabbia, di un cocente sconforto, di una passione cupa di qualche tipo.

E' stato infatti versato del sangue, si sono combattute battaglie, si e' sofferto davvero molto.

Invece, mio malgrado, ho deciso di scrivere un post dopo un lungo silenzio senza effettivamente avere quella fiamma che in genere tende ad animare, almeno nei propositi, le parole che appaiono in queste pagine.

Una scelta necessaria, perche' necessario diventa sancire quella che potremmo definire, con un accenno di ironia, l'attuale guerra fredda.

Non sento piu' le pallottole fischiare, non striscio nel fango con uno zaino carico e la luce della battaglia non si riflette nei miei occhi, non tuonano obici lontani.

Eppure la battaglia e' sempre in corso, silenziosa, viscida, solitaria, soprattutto silenziosa.

Un modo nuovo di soffrire, senza i fasti bellici, senza il doloroso squillare dei fischietti che mandano alla carica.

Nel silenzio che dura giorni, nella solitudine diventata ubiqua, perenne, si e' stabilito un nuovo tipo di scontro, fatto di attese e di imboscate, di diaframmi sottilissimi tra la piu' turpe delle mutilazioni e una vittoria di Pirro che prepara la giornata successiva, che sara' ancora attese, agguati, furtivita'.

Emozioni che assalgono dal buio, che mi scaraventano da un attimo di calma apparente al successivo istante di dolore, ad un'irrequieta ricerca senza meta frustrante e psicotica.

In risposta, una tenace resistenza alla non-vita, una pacata e paziente attesa del momento in cui a mia volta assestare un affondo.

La guerra fredda: tutto avviene, ma in silenzio.

Oggi come altri giorni ho navigato per le ore di veglia, all'erta, sul chi vive, apparentemente tranquillo ma vigile, preoccupato. Sorridente alla vista, ma disperato. Fiducioso e fatalmente rassegnato, vivo e morto.

Sinceramente, sto combattendo i fantasmi. Probabilmente, dai giorni delle battaglie campali non e' cambiato nulla: la Guerra Eterna non e' certo vinta o conclusa.

Ma devo ammettere che questa nuovo, sotterraneo tormento, cui non posso rispondere urlando, e' piu' doloroso di molte misure, perche' nel tentativo di ergermi al di sopra della Guerra, per vincere, ho per ora solo scoperto che la Guerra si e' innalzata al mio livello, seguendomi.

Cercando di superare il confronto scandito dallo ius belli, ho innescato una guerra di diplomazia.

E quando sono ridisceso con nuove cicatrici alla ricerca di un duello, non ho piu' trovato il vecchio nemico, e mi e' toccato risalire, battuto e tumefatto, al silenzio solitario della guerra fredda.

Devo ammettere che franco la costante e strenua resistenza, non ho ancora nessuna strategia valida in questa guerra fredda che per primo ho avviato.

Perche' se e' vero che vivere una vita avvelenata come lo e' la mia e' faticoso e doloroso, e' anche peggio vedersi allo specchio come un uomo alla merce' delle ore che passano, piuttosto che come un guerriero che si avventa a qualsiasi costo sul nemico per annichilirlo e VINCERE.

Per questo, sto soffrendo, e purtroppo e' vicino un punto di rottura, l'ennesimo: o trovero' mezzi efficaci per combattere questa nuova guerra, oppure saro' costretto ad arretrare.

La novita', questa volta, e' che ho gia' le spalle al muro, gli assi calati, il jolly sul tavolo: non ho altri trucchi ne' altre magie.

Quindi, o faro' mia la vita, o faro' mia la morte.

25 febbraio, 2006

Molto tempo...

... e molte cose da dire, ma non e' ancora il momento.

Per adesso e' pronto un nuovo podcast, su BastaScrivere!

Se potete, ascoltatelo: ogni commento e' sempre il benvenuto. Guerra Eterna non e' morto, come dei resto non sono morto io: ha solo bisogno di tempo per proporre altre riflessioni, come ne ho bisogno io.

Arriveranno, arriveranno, come all'Inverno segue la Primavera.

05 gennaio, 2006

Manifesto del Soldato

Guerra Eterna ha compiuto un anno... e' tempo di tirare le somme, o cosi' vorrebbe il senso comune.

E allora: Bastascrivere! accoglie il primo mp3 dell'anno nuovo, assemblato la notte di Capodanno.
E per quanto ci riguarda, ecco il manifesto del Soldato.

Perche' un singolo anno e' solo una goccia di sangue nel mare di lacrime gia' versate.

Manifesto del Soldato della Guerra Eterna

1) La sua guerra perdura dacche' egli ha memoria di esistere.
2) La sua guerra non ha fine se non nella morte.
3) Egli combatte per la vittoria assoluta.
4) La vittoria assoluta non sara' la fine della guerra, solo il piu' lungo degli armistizi.
5) Le cicatrici della Guerra Eterna sfregiano l'anima e il corpo del Soldato ad eterna memoria delle infinite battaglie.
6) Il Soldato soffre come nessuno che non combatta anch'egli una Guerra Eterna e' in grado di immaginare.
7) Nessuna parola, nessun esempio, e' in grado di far comprendere a chi non combatte una Guerra Eterna la portata fatale delle distruzioni, dei sacrifici, delle rinunce, delle privazioni, dell'amarezza del pianto solitario del Soldato di una Guerra Eterna.
8) Il territorio di scontro della Guerra Eterna e' l'animo e la mente del Soldato, e in altre piu' rare occasioni l'animo e la mente di chi crede di comprendere la Guerra Eterna.
9) Chiunque vanti o azzardi la prosopopea e la goffaggine di giudicare, valutare, anche solo delineare i confini e il merito della Guerra Eterna, commette inevitabilmente un errore sistematico.
10) Costoro meritano e ottengono a buon diritto l'odio del Soldato.
11) La solitudine, oltre al dolore acuto e costante, e' il secondo costo della Guerra Eterna.

Per concludere, la Guerra Eterna viene prima di qualunque altro genere di fenomeno.
Ogni attivita' le e' subordinata, ogni azione coscritta, ogni istante immolato.

Con questo spirito, la vita non e' bella.
Ma la mia vita e' Guerra Eterna, e in tempo di guerra la bellezza e' solo un ricordo o una speranza.

Che ricordino queste parole tutti quanti leggono o leggeranno il manifesto e avranno poi l'ardire di pronunciarsi in qualunque misura in merito a cio' che decido di fare e di come lo faccio.

23 dicembre, 2005

Ancora Guerra!

Al termina di una parentesi durante la quale ho creduto di poter sfuggire alla Guerra Eterna, arrendendomi, mi trovo ora, di nuovo, martoriato da un esilio inglorioso e non da una dignitosa resa, a tessere ordito e trama della stessa mia Guerra Eterna.

Non le ho potuto sfuggire, ella mi ha riacciuffato come un gorgo invincibile: ma non ne sono spaventato, perche' ho visto le alternative, ho toccato con mano cosa sia davvero la resa.

Per certo, ho avuto davanti a me solo due scelte: la morte, o la sofferenza continua e crescente.

Ho deciso quindi di abbracciare nuovamente armi e bandoliere e riprendere a combattere piu' furiosamente che mai. Mi assista Dio e l'uomo in questa impresa, perche' sara' l'ultima e la piu' importante della mia esistenza: il bivio.

So che e' una scelta di necessita', e so anche che non e' possibile fare altrimenti: pur tuttavia sono deciso ad andare fino in fondo a questo massacro eterno.

Questa e' una decisione presa giorni addietro. Ci sono altre novita'.

Questa notte e' stata spesa in compagnia di una persona che, in un certo senso mio malgrado, e' in grado si suonare molte corde del mio cuore un po' vizzo.

Questa persona ha il sapore e i profumi di un luogo strano e avulso dal reale, del quale con tutta la mia forza mai riesco a iscovrirne i piu' scuri anfratti: non che non vi abbia riversato parecchie delle mie energie. Semplicemente, si tratta di un compito duro. Spero infine di riuscirvi.

Devo ammettere con sincerita' che, pur con tutta la prosopopea che mi contraddistingue, questa sera sono stato posto di fronte per la prima volta da molto, molto tempo, a critiche che hanno raggiunto lo scopo di suscitare in me dei dubbi completamente autentici e direi anche nuovi.

E' con amarezza che sono costretto ad ammettere di non aver compreso a pieno quanto sia successo questa sera: c'e' chi parla chiaro ed invece pone enigmi. E' raro incontrare queste persone, ma talvolta accade.

Non ammettero' che le sue parole siano assolutamente vere, perche' non lo credo affatto.

Del resto, concedero' alle sue osservazione la giusta attenzione.

Rimane amarissimo nel mio cuore, come gia' successe, quel vago sapore di sconfitta, l'ennesima, in un tentativo di sorpassare quel baratro di buio che mi separa da questa donna, cercando di risalire il vento delle sue parole cui espongo il mio fianco.

Come spesso mi e' successo con questa donna, credo che ci sia piu' di quanto detto nelle parole che ho sentito, e di aver compreso meno di quanto ho sentito tra le parole che mi sono state dette.

Esporsi e' un errore che ho gia' commesso, ma la brama di lei, come in passato, mi costringe a compromessi svantaggiosi.

Sento le Furie che ululano, ma non posso decidere, ancora.

Cerchero' di trarre l'utile e lascero' il resto, ma perdo sangue e ho una Guerra da vincere: con il sacrificio, sapro' duellare, come ho gia' fatto altre volte, su due fronti, o quanti mai questa vita dannata me ne porra' di fronte.

Del resto, sono aggressivo e coriaceo... che lo si declini in bene o in male poco cambia.

Chissa' cos'altro sono: questo da lei non lo sapro' mai.
Ne' lei sapra' mai chi ella stessa sia, in realta'.

16 dicembre, 2005

La distanza fra il Cielo e l'Abisso

Qualche sera fa, grazie alla chimica, ho assaporato la reale distanza tra il Cielo e l'Abisso.

Il tempo che trascorre tra assaporare un estasiante, fragoroso e sincero profumo, con il volto che affoga tra i capelli scompigliati della donna amata, dopo una notte trascorsa insieme, ed espirare, abbandonando quel istante di celeste per sprofondare in un abisso di isolata consapevolezza.

La chimica lo rende sperimentabile in vitro, l'amore e la complessita' dell'Uomo lo rende possibile.

07 dicembre, 2005

A che fare con la luna

Lavorare la notte presenta innumerevoli vantaggi.

Uno di questi e' captare i momenti della giornata da un punto di vista un po' diverso dal solito.

Svegliarsi quando la citta' si rifugia nei bar a mangiare un panino per pranzo, e percorrere le strade vuote di Milano nel primo pomeriggio, deserte di vita e di promesse.

Saltare pranzi e cene, sfigurando, come all'opera si di un diamante grezzo, la stabilita' dei ritmi, per ricavarne una pietra lavorata, ed unica.

Smettere quando gli altri iniziano, iniziare quando gli altri smettono, le notti si fanno giorno ed i giorni notte, trilla nel sangue l'ambizione, e al risveglio non c'e' spazio per i dubbi.

La solitudine e' uno degli scotti da pagare, ma e' mia compagna fidata dei momenti piu' importanti da sempre, che mi piaccia o meno, quindi l'accetto di buon grado e non disturbo gli uomini e le donne che mi scorrono a fianco, veloci ed irraggiungibili quanto vagoni di un treno in corsa osservati da un palmo di distanza.

Solo, con musiche, pensieri, parole per nessuno, nelle notti che si fanno giorno, orologi che segnano orari assurdi e stravaganti, come i luoghi dove compro da mangiare e da bere, fuori dai canoni del senso comune.

All'alba giunge la mia notte.

E questa notte, al ritorno, mi ha accolto la luna crescente. Confesso che ho cercato di ignorarla, per un po'.

Poi si e' stagliata, come usa fare quando esige la mia attenzione, tra le case, e non ho potuto piu' fare a meno di tributarle ancora il mio amore sempiterno, bianca come la pelle di una dea sul cupo blu del cielo di Milano spazzato dai venti gelati.

Vorrei dare qualcosa in cambio alla luna, compagna instancabile e suprema della solitudine, simbolo stesso della solitudine, per tutte le serate che si e' concessa a me senza pudori.

Spesso le gridavo "Non piangere o luna, presto moriro' " ... ma la mia morte non le servirebbe, non la lusingherebbe punto, senza dubbio non piu' del molcersi del mio animo, quando solitario ella, tra i palazzi di questa silenziosa citta', mi si offre come unica compagna, in attesa di un futuro qualsiasi, la cui attuazione sembra, in quegli istanti, inutile nemmeno prendere in considerazione come eventualita' possibile.

Quando ho a che fare con la luna, sono vicino ai miei limiti, di fronte alla mia Nemesi.

A me e' sempre piaciuto avere a che fare con la luna.

03 dicembre, 2005

Scritto e ascoltato

Nuovo post su Basta Scrivere!
Ascoltatelo, un feedback sara' apprezzato anche su Guerra Eterna, perche' la guerra, tuttavia, continua ancora, finche' ci sara' vita, qui.


23 novembre, 2005

Resa dignitosa

Si puo’ anche giungere alla conclusione che si e’ fatto di tutto per quasi tre lustri nel tentativo di cambiare con sottili alchimie gli esiti delle giornate che passavano, del trascorrere del tempo, per trasformare la vita da Guerra Eterna a esistenza civile.

Potrei elencare successi e sconfitte, fare bilanci, decidere cosa fare in base ad accurate analisi dell’evoluzione della Guerra Eterna.

Gli ottimisti trarrebbero da queste analisi l’evidente conferma che, franco tutto, sono stati via via conquistati punti strategici sempre piu’ importanti, e che la qualita’ emotiva e psicologica della mia vita, per la quale combatto, e’ di fatto migliorata, e che sono stati ottenuti ottime vittorie. Poi seguirebbero accalorate discussioni sulle componenti cui addurre i meriti e sconfitte, come spartire la torta della presunta parziale vittoria.

C’e’ comunque del vero.

I pessimisti punterebbero invece il dito sul presente, sullo status-quo, sul come stanno le cose. Su cosa ho, cosa sono, chi sono, cosa ho in mente, adesso, ora, qui mentre scrivo.
Direbbero che un investimento cosi’ grande, cosi’ tante rinunce e cosi’ tanto sangue versato non valgono assolutamente l’attuale condizione, e che nel complesso, si e’ di fronte ad una clamorosa vittoria di Pirro. Seguirebbero in questo frangente ricerche di capri espiatori et similia.

E anche qui c’e’ del vero.

Del resto, buffo a pensarlo, analisi come questa che sto assemblando, sono passate da un PC all’altro nel corso degli anni, dai vecchi Amiga, ai primi Pentium, fino ad oggi, attraverso peripezie, traslochi, sempre conservate su hard disk via via sostituiti, in un evoluzione tecnologica cui hanno resistito, immutate.

E in buona sostanza sono tutte simili, tutte claudicanti, appoggiantesi a due distinte staffe, l’una scolpita nel morbido legno di una sommessa speranza, l’altra ricavata dal rugginoso ferro della cupa disperazione.

E ancora, eccone un’altra, cui ne potrebbero seguire altre mille migliaia.

Oggi, non credo di avere la possibilita’ di modificare il divenire in un modo sostenibile. Comunque esso evolva, e comunque io reagisca, anno dopo anno, traggo sempre le medesime conclusioni, le medesime righe sono affidate a file di testo, diari, moleskine, blog, a seconda di dove e quando vengono scritte, concepite.

Come dicevo giusto ieri, questo 2005 che va’ morendo mi ha offerto in fondo la bellezza di un mese e mezzo di tranquillita’, quasi di benessere se vogliamo essere positivi.

Un risultato notevole, un mese e mezzo l’anno di vita decente dopo 14 anni di Guerra.

Forse dovrei rallegrarmene, ma visto che ho le lacrime agli occhi mentre sto scrivendo, credo che sarebbe inopportuno.

Mi piacerebbe avere una controparte cui arrendermi, ai quali piedi poter gettare il mio armamentario di idee, chimica, amarezza, ore di riflessione, per ricevere un colpo di grazia, la schiavitu’, qualsiasi cosa.

Anche un ufficiale superiore cui lamentare la mia situazione potrebbe soddisfarmi, ma non esiste nemmeno questo, nonostante lo si possa individuare forzosamente, come talvolta ho fatto.

E allora basta, si tratta di me di fronte a me stesso. Io e me soli, che ci fissiamo negli occhi e che ci mentiamo da 14 anni.

Mi dico che mi basta, e’ al divenire che mi rimetto. La guerra continuera’ per sempre, questo lo so bene, la sofferenza mi spetta di diritto, a quanto pare, ma so anche che nessuno mi costringe a sparare, a inventare strategie, ad attuare tattiche per stare meglio, per vincere, infine.

Non sparero’ piu’ un colpo, non faro’ piu’ un gesto, non pensero’ piu’ a cosa fare in un'ossessionante massacrante maratona.

Molto probabilmente verro’ travolto e massacrato dal divenire, molto probabilmente vivro’ una vita pessima, molto probabilmente breve, come un accattone prendero’ quello che trovero’ di decente e lascero’ perdere il resto, un barbone che fruga nella spazzatura, circondato di certo dal biasimo, dalla riprovazione, dalla disapprovazione, e cosi’ via.

Del resto, lo so, la gloria non mi spetta, non mi spettano la felicita’ e la pace.

Cio’ che non so e’ cosa in effetti mi spetti.

Temo lo scopriro’ presto.

21 novembre, 2005

Altrove

Sono elegante.

Non e' banale scomparire nel nulla in eleganza.

Introvabile, impalpabile, evanascente, eppure pronto a rispondere, con qualche limite, ai propositi esterni, che si affacciano quotidianamente.

Oppure, come dicono gli Idlewild qui,

"I'm safe in a hiding place
It's the only way I feel safe
When I'm safe in a hiding place"

Sono al sicuro, al sicuro dalla vita, al sicuro dal divenire, un mondo cristallizzato in una condizione che non accetto ma che non nego.

E' come essere morto, senza esserlo.

Per gradi, sto andando altrove.

10 novembre, 2005

Contro il buon senso

Si tratta, in buona sostanza, di accettare dei limiti.

Quand'anche si sapesse per certo che in potenza si potrebbero realizzare le piu' mirabolanti ipotesi, e si vivesse nell'evidenza della mancanza di questi risultati, non sarebbe forse saggio accettare lo status quo?

Veleggiare nei maelstrom e' forse utile? Lo e' stato superare le Colonne d'Ercole?

Due esempi identici ed opposti, dove il coraggio o l'avventatezza o la fede hanno portato in un caso la morte, in un altro la maggior gloria.

Ma prima dell'atto, nessuno avrebbe potuto mai predire, sapere, cosa sarebbe successo: il buon senso, che arda, avrebbe dissuaso da entrambe le imprese.

Dunque, e' giusto gettarsi tra le fiamme della possibilita' consci del costo, o accettare il limite e pascolare nell'ovino prato arido del quieto vivere?

Ebbene, chiniamo la testa di fronte al buon senso, confezioniamoci una bolla di tranquille fandonie, ma che nessuno mai parli ancora di qualcosa di simile ad una vita degna di essere vissuta.

E peggio che mai, nessuno predichi ancora il saggio uso del buon senso: sono ottusi coloro i quali credono che non vi siano uomini disposti a morire in un maelstrom, pur di sentirsi vivi, convinti che con un po' di buon senso si potrebbe stare senz'altro meglio, pascolando erba secca, che, dopo tutto, pur sempre, il buon senso lo dice, e' foraggio.

C'e' chi deve vivere un secolo brucando, e chi deve morire per niente, con gli occhi luccicanti di ebbrezza, in un maelstrom.

Chi puo' capire, e' gia' morto.

05 novembre, 2005

L'essenza dell'amore

"Juliet, when we made love you used to cry
You said 'I love you like the stars above, I’ll love you till I die' "

Parole di un pezzo dei Dire Straits, "Romeo and Juliet", l'album e' "Making Movies", del 1980.

Probabilmente una delle piu' sintetiche espressioni in musica e parole di quella che io considero l'essenza dell'amore.

Anche nell'attimo piu' intenso di unione e di felicita', stilla la malinconica sensazione della vastita' del sentimento che si prova, che si alza nel cielo, fino alle stelle, incommensurabile, tanto da portare alle lacrime.

22 ottobre, 2005

Vento di Shamal sulle tende della Settima

Nel 1941, il generale maggiore Erwin Rommel fu posto a capo della Settima divisione Panzer, al comando della quale dovette condurre operazioni belliche in Africa: si tratta del celebre Africa Korps.

Rommel dovette affrontare una serie di situazioni estremamente varia, sia dal punto di vista tattico che strategico.
In particolare, Rommel ritenne estremamente importante la presa di Tobruk, una cittadina marittima in Libia, porto strategicamente significativo.

Il 12 gennaio 1941 Tobruk era stata conquistata da truppe australiane e britanniche. Per propria conformazione, Tobruk era una roccaforte pressoche' imprendibile, e le fortificazioni alleate ne avevano reso, grazie ad una serie di ridotte e avamposti, ulteriormente difficile la conquista.

Il 10 aprile 1941 Rommel sferro' il primo di una lunga serie di attacchi, che sfociarono in un nulla di fatto. Rommel sacrifico' tempo, uomini e mezzi in un lungo assedio che non riusci' a piegare i soldati alleati, supportati dall'artiglieria pesante della marina britannica, che incrociava indisturbata nelle acque di Tobruk, grazie alla presenza alleata a Malta, mai conquistata dall'Asse, nonostante le ripetute e pressanti richieste in merito inoltrate da Rommel a Berlino.

Tobruk rimase un chiodo fisso nella testa di Rommel, e benche' l'offensiva del '41 non portasse alla caduta della citta', egli non smise mai di considerarne fondamentale la presa. Oltre all'assedio posto a Tobruk, Rommel, con la propria Settima Panzer, fronteggio’ tre offensive alleate atte a rompere dall'esterno l'assedio alla citta', riuscendo addirittura a conquistare posizioni al nemico, nelle abili fasi controffensive.

Nel 1942 Rommel ritorno' operativamente all'attacco di Tobruk. Dopo uno scontro decisamente arduo, Tobruk cadde il 21 giugno del 1942, non senza un impegno estremo da parte tedesca e italiana. Si tratto' di un evento fondamentale, dal punto di vista strategico, in quanto poteva garantire alle truppe dell'Asse un vantaggio logistico notevole.

Tobruk era comunque destinata a cadere nuovamente in mano alleata, creando problemi non indifferenti a Rommel, la cui divisione riceveva a stento munizionamento e rifornimenti lungo una linea che attraversava quasi interamente il Nordafrica, nella sua energica spinta che lo avrebbe portato fino all'invasione dell'Egitto, dove avrebbe dovuto arrestare l'avanzata di fronte al numero dei pur deboli carri di produzione Americana, paese entrato nel conflitto dopo i fatti del Pacifico, carri ceduti alle truppe britanniche di Montgomery, subentrato al comando.

Tobruk era stata una conquista importante, ma il senno di poi costringe ad ammettere che era impossibile da tenere per le truppe dell'Asse, soprattutto per la presenza della Royal Navy e per il costante apporto logistico di Malta.

C'e' una Tobruk, nella mia vita, una Tobruk che la mia Settima Panzer assalta a costo di gravi perdite, che viene conquistata e poi perduta, strategicamente importante ma solo in potenza, e tatticamente utile solo in apparenza: ad ogni conquista non puo' seguire il vantaggio strategico perche' non vi sono le condizioni per poter attingere ai frutti della mia Tobruk, e infine essa viene persa, con smacco tattico.

Eppure rimane un chiodo piantato nella mappa delle operazioni della mia mente, un tormento impossibile da cancellare, come fu per Rommel, che pur diede prova della propria genialita' tattica anche nel fallimentare primo assedio, ricacciando gli attaccanti alleati.

E ogni anno, come fu nell'estate del '42 per Rommel, si torna alla carica, ingaggio la mia Tobruk: ma panzer e cannoni da 88 mm possono al massimo piegare per qualche mese la “citta' destinata a cadere”. E se nel mentre la mia vita veleggia verso lidi tranquilli e accoglienti, come fu per Rommel durante la gloriosa invasione egiziana, rimane ancora Tobruk, mille miglia piu' indietro, a trascinare il generale maggiore nella malinconia e nella rabbia dell'impotenza, nelle notti solitarie spese da soldato nelle proprie tende, agitate dallo Shamal temporalesco di nordovest.

Non commettero' l'errore di Rommel, non sperero' che Berlino renda possibile la caduta definitiva della mia Tobruk: sono al corrente del fatto che non e' il valore di chi difende la cittadella che la rende imprendibile, bensi' la menzogna che la circonda.

La menzogna che rese Tobruk cio' che fu per Rommel nasceva dall'ipocrisia dello stato maggiore tedesco nei confronti dell'atteggiamento da tenere nei confronti di Malta, semplificando al massimo.

Le menzogne che rendono la mia Tobruk impossibile da prendere, tenere o distruggere, traggono la propria linfa dall'ignoranza e dalla buona fede di certi, e soprattutto dalla maligna devozione al falso di Tobruk stessa.

Sara' mia compito garantire alla mia ipotetica Settima Panzer un successo, quando sara' il momento: se mai capitera' di nuovo, e ancora la mia Tobruk crollera' sotto il ferro dei miei cingolati, allora, non ripartiro' per il mio Egitto in cerca di gloria, ma rimarro' a Tobruk quanto basta per svelarne le menzogne, e Malta non sara’ risparmiata.

Quando questo sara' fatto, Tobruk cessera' di rappresentare un incubo per le mie notti, tornando ad essere cio' che e': il ricordo di un trascorso in un porto dolce, ma ridotto ormai un cumulo di fumanti macerie trasudanti l’odore della morte e del passato che si decompone, dolciastro.

Allora l'Egitto potra' essere mio o meno, ma in ogni caso muovero' con la mente libera dagli spettri di cittadelle mendaci che incalzano le mie retrovie, e con l'immagine chiara in mente di una roccia, una lapide su Tobruk, che ricordi a chi la veda cosa possa significare assediare il vento della menzogna.

E al generale maggiore Erwin Rommel, il massimo rispetto ed onore per le operazione della sua Settima Panzer.

17 ottobre, 2005

Hide and Seek

Un pezzo che mi piace molto. Qui. Sotto riporto il testo. L'album da cui e' tratto, "Speak for Yourself", non e' molto interessante. Questo pezzo invece e' gradevole, ne apprezzo le armonie e, stranamente, l'utilizzo dell'elettronica, che in genere depreco.

Ne ho sentito un breve tratto in una pubblicita' televisiva.

Il gruppo si chiama Imogen Heap, qui c'e' l'ottimistica recensione di AllMusic.

Ecco il testo:
Where are we? What the hell is going on?
The dust has only just begun to fall,
Crop circles in the carpet, sinking, feeling.

Spin me round again and rub my eyes.
This can't be happening.
When busy streets a mess with people
would stop to hold their heads heavy.

Hide and seek.
Trains and sewing machines.
All those years they were here first.

Oily marks appear on walls
Where pleasure moments hung before.
The takeover, the sweeping insensitivity of this
still life.

Hide and seek.
Trains and sewing machines.
(Oh, you won't catch me around here)
Blood and tears,
They were here first.

Mmm, what you say?
Mm, that you only meant well? Well, of course you did.
Mmm, what you say?
Mm, that it's all for the best? Ah off course it is.
Mmm, what you say?
Mm, that it’s just what we need? And you decided this.
Mmm what you say?
What did she say?

Ransom notes keep falling out your mouth.
Mid-sweet talk, newspaper word cut-outs.
Speak no feeling, no I dont believe you.
You don't care a bit. You don't care a bit.

(Hide and seek) Ransom notes keep falling out your mouth.
Mid-sweet talk, newspaper word cut-outs.
(Hide and seek) Speak no feeling, no I don't believe you.
You don't care a bit. You don't care a bit.

(Hide and seek) You don't care a bit.
(Hide and seek) You don't care a bit.
(Hide and seek) You don't care a bit.
You don't care a bit.
You don't care a bit.